La fame continua a perseguitare Gaza

di Ishaan Tharoor,

The Washington Post, 16 settembre 2024.   

“Non ho mai visto una crisi come questa nei miei 25 anni di lavoro umanitario”, ha detto la direttrice regionale del Programma Alimentare Mondiale dell’ONU a proposito della situazione di crescente insicurezza a Gaza.

File di tende allestite per gli sfollati palestinesi a Beit Lahia, nel nord della Striscia di Gaza. 14 settembre 2024. (Omar Al-Qattaa/AFP/Getty Images)

La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza rimane catastrofica. La fame e le malattie affliggono il territorio, che è stato devastato da 11 mesi di guerra. Israele continua a colpire presunti obiettivi militari di Hamas in presunte zone sicure, uccidendo invariabilmente dei civili che rimangono vittime delle operazioni belliche. E le organizzazioni umanitarie che cercano di contribuire ad alleviare una situazione disperata continuano a lamentare gli ostacoli alla distribuzione degli aiuti e i rischi per la sicurezza dei loro operatori posti dalle truppe israeliane e da una palude di bande violente emerse dalla rovina di Gaza.

La settimana scorsa, un rapporto di Refugees International, un’organizzazione di difesa umanitaria, ha corroborato le prove di una “grave crisi di fame” nel territorio e l’ha collegata alle azioni delle autorità israeliane. Il rapporto ha rilevato che “i flussi e riflussi delle condizioni di fame sono strettamente legati alle restrizioni e alle concessioni del governo israeliano sull’accesso agli aiuti e alla condotta dell’esercito israeliano”, si legge nel sommario esecutivo del rapporto. Ha aggiunto che la pressione internazionale esercitata sul governo israeliano questa primavera, dopo gli avvertimenti di una carestia imminente, ha indotto a una “serie di concessioni israeliane sull’accesso agli aiuti e alla vendita di beni essenziali”.

Ma ora che la guerra si avvia verso i mesi più freddi, i funzionari umanitari temono un ulteriore e più letale deterioramento. Ho parlato con Corinne Fleischer, direttrice regionale per il Medio Oriente, il Nord Africa e l’Europa Orientale del Programma Alimentare Mondiale (PAM) delle Nazioni Unite, della complessità di fornire aiuti in questo conflitto. La conversazione è stata modificata per chiarezza e brevità.

L’8 luglio le forze israeliane hanno ordinato ai residenti di Gaza City di evacuare verso il centro della Striscia in vista di un’operazione militare più ampia. (Schermata da CGTN via Reuters)

Ishaan Tharoor: Recentemente lei è stata a Gaza per una missione nella cosiddetta “zona umanitaria” del territorio. Quali sono state le sue impressioni sulla situazione?

Corinne Fleischer: Quando si è lì, ci si rende conto di come le persone siano stipate in quell’11% della Striscia, che era già una delle aree più densamente popolate del mondo. C’è una tenda di fortuna dopo l’altra sulla spiaggia, fino alla riva; e quando arrivano le onde, alcune vengono spazzate via. E devono rimetterle in piedi. Le strade sono piene di persone. E poi, quando si va in questi rifugi [gestiti dall’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi], si può a malapena camminare attraverso la calca.

Questo è il modo in cui vivono e cercano di tirare avanti, ma non è una vita normale. Non ci sono lavori, non c’è denaro in giro. I bambini sono per strada e non vanno a scuola; trasportano acqua. Il PAM sostiene circa 1,1 milioni di persone ogni mese. Ma ora il nostro programma è anche danneggiato dagli ordini [israeliani] di evacuazione. Abbiamo perso 20 dei nostri siti di distribuzione, cinque delle cucine mobili. Il nostro ultimo magazzino non è più accessibile e abbiamo dovuto trasferire temporaneamente il nostro centro operativo. Non siamo assolutamente al punto in cui dovremmo essere [in termini di accesso e consegna] per varie ragioni. Una è che la situazione è diventata sempre più insicura per gli operatori umanitari.

Quali sono le ragioni di questo senso di insicurezza?

Abbiamo avuto un incidente vicino a un posto di blocco [delle Forze di Difesa Israeliane], dove la nostra auto è stata colpita da 10 proiettili con la nostra gente all’interno. I nostri operatori ora hanno paura. Lavoriamo in molti luoghi pericolosi in tutto il mondo. È il nostro lavoro. E le persone accettano questo lavoro perché sanno che abbiamo delle procedure per evitare ogni violenza, per gestire la situazione di sicurezza con le parti in conflitto. Ma qui le nostre procedure non funzionano.

Da un lato, ci sparano addosso e dall’altro ci saccheggiano. I saccheggi sono possibili perché non c’è più la polizia locale. Non c’è più legge e ordine a Gaza, e questo permette alle bande di crescere e di saccheggiare. Questo ci ha portato ad operare in una situazione molto complicata.

Ci si alza al mattino e si dice: “Ok, vado alle 6 a prendere il cibo al [checkpoint di] Kerem Shalom? O ci vado a tarda notte, guardandomi intorno per vedere se ci sono saccheggiatori?”. Stiamo cercando di costruire strade alternative per non percorrere sempre la stessa strada, o almeno stiamo cercando di riparare i percorsi alternativi che sono stati danneggiati. Insomma, c’è bisogno di ripristinare la legge e l’ordine, e i negoziati per il cessate il fuoco devono tenerne conto.

Per mesi abbiamo parlato della prospettiva di una carestia a Gaza, anche se le potenze internazionali hanno fatto pressione su Israele per far arrivare più aiuti. I timori di una vera e propria carestia si sono attenuati?

Circa 500.000 persone sono a livelli estremi di fame – quella che noi chiamiamo vera fame. Si tratta di una cifra inferiore a quella di marzo, quando eravamo molto preoccupati, perché non avevamo accesso al nord di Gaza e a Gaza City. Una volta ottenuto l’accesso, la situazione è migliorata, ma è sempre necessario mantenere le operazioni a un certo livello. In realtà, ora stiamo raggiungendo meno persone. Portiamo cibo a Gaza, forse circa due terzi di quello che ci serve. Ma poi non siamo in grado di distribuirlo all’interno.

Perché?

Per i motivi che ho appena menzionato – le evacuazioni imposte, la perdita dei nostri punti di accesso. Dobbiamo sempre aspettare il semaforo verde [da Israele]. Aspettiamo nei punti di blocco. Aspettiamo ai checkpoint. Le strade sono distrutte; ci capita anche di dover riparare le gomme bucate. È una zona di guerra, molte persone si spostano continuamente, quindi [trasportare gli aiuti] richiede molto tempo. Tutte le procedure burocratiche devono essere snellite e gli ostacoli rimossi, in modo da poter svolgere il nostro lavoro.

Data l’assenza di un cessate il fuoco imminente, che idea si è fatta di come potrebbe evolvere la crisi?

Gaza City è stata rasa al suolo, tutto dovrà essere ricostruito. Non ho mai visto una crisi come questa nei miei 25 anni di lavoro umanitario. Sono molto preoccupata e un po’ pessimista in questo momento, perché non possiamo fare il nostro lavoro. Il cessate il fuoco deve avvenire. Ma se non c’è un cessate il fuoco, almeno le regole di ingaggio di che ha le armi devono essere rispettate per consentire alle operazioni umanitarie di essere in grado di fornire i loro servizi – e, al momento, non lo sono.

Ishaan Tharoor è un editorialista di affari esteri presso il Washington Post, dove è autore della newsletter e della rubrica Today’s WorldView. Nel 2021, ha vinto l’Arthur Ross Media Award in Commentary dell’American Academy of Diplomacy. In precedenza è stato redattore senior e corrispondente della rivista Time, prima a Hong Kong e poi a New York.

https://www.washingtonpost.com/world/2024/09/16/gaza-hunger-humanitarian-world-food-program

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

.

Lascia un commento