Questa conferenza può ispirare un nuovo movimento di pace israelo-palestinese?

Giu 30, 2024 | Notizie

di Oren Ziv,

+972 Magazine, 29 giugno 2024. 

Per gli attivisti Maoz Inon e Aziz Abu Sarah, il rilancio di uno sforzo di pace congiunto che impari dagli ostacoli del passato è “il più grande antidoto all’estremismo”.

Maoz Inon (a sinistra) e Aziz Abu Sarah (a destra), attivisti per la pace israeliano e palestinese. (Uri Levy)

Maoz Inon e Aziz Abu Sarah sono una coppia improbabile.

Maoz Inon, 49 anni, è un imprenditore turistico israeliano e fondatore di Abraham Hostels. Ha perso entrambi i genitori, che vivevano nel kibbutz Netiv HaAsara, durante l’assalto guidato da Hamas il 7 ottobre.

Aziz Abu Sarah, 44 anni, è un attivista palestinese per la pace, giornalista e imprenditore turistico che ha fondato MEJDI Tours, residente a Gerusalemme Est (ed ex collaboratore di +972). Quando Aziz aveva 9 anni, suo fratello maggiore Taiseer fu arrestato e tenuto in prigione per quasi un anno; poco dopo il suo rilascio, Taiseer morì per le lesioini interne riportate durante le torture in carcere.

I due si sono incontrati dopo che Abu Sarah aveva scritto a Inon nei giorni successivi al 7 ottobre, esprimendo le sue condoglianze per la famiglia di Inon uccisa. Da allora hanno condotto una campagna personale e pubblica contro ogni vendetta e a favore della riconciliazione. Hanno parlato in interviste ai media, in conferenze e in circoli domestici, hanno tenuto una conversazione aperta a una conferenza TED, hanno incontrato diplomatici e, recentemente, il Papa.

Insieme a decine di organizzazioni, Inon sta ora guidando un evento intitolato “It’s Time – The Great Peace Conference“, che si terrà il 1° luglio a Tel Aviv e che dovrebbe essere il più grande raduno formale di sinistra degli ultimi decenni. Saranno presenti delegazioni che rappresentano vasti settori della società israeliana e palestinese, con interventi di artisti, politici e intellettuali. Durante l’evento sarà proiettato un videomessaggio di Abu Sarah, che attualmente si trova all’estero.

In un’intervista con +972 e Local Call, Inon e Abu Sarah hanno parlato del nuovo processo di pace che stanno promuovendo, degli obiettivi della conferenza e di come intendono convincere i rispettivi pubblici a sostenere il loro lavoro. La conversazione è stata modificata per ragioni di lunghezza e chiarezza.

Le forze di sicurezza israeliane sorvegliano l’arrivo dei fedeli musulmani per l’ultima preghiera del venerdì del mese sacro di Ramadan, nella Città Vecchia di Gerusalemme, il 5 aprile 2024. (Chaim Goldberg/Flash90)

Da dove è nata l’idea della conferenza?

Inon: Tutto è iniziato a Ginevra a marzo. Io e Aziz eravamo lì con altri 70 palestinesi e israeliani. Abbiamo scritto un atto costitutivo per un futuro comune e abbiamo iniziato a pensare a un percorso per raggiungere la pace tra il fiume e il mare. Questo è il primo passo: lanciare gli appelli alla pace e costruire la legittimazione del processo di pace e di noi stessi – i leader del futuro.

La conferenza è il primo evento pubblico nella società israeliana in cui cittadini ebrei e palestinesi compaiono in pubblico e iniziano un processo di pace che ha origine nella gente. È la prima volta, almeno da quanto ricordo, che più di 50 organizzazioni della società civile lavorano insieme per costruire l’infrastruttura di un tale processo. Poiché aspiriamo a costruire la nostra legittimità, la conferenza si svolgerà nella Sala della Menorah e non in manifestazioni di piazza. Questo è solo il primo evento di una serie di manifestazioni che intendiamo organizzare.

Negli ultimi mesi abbiamo assistito a proteste contro la guerra e a manifestazioni che chiedevano un cessate il fuoco. Qual è la differenza tra queste e la vostra conferenza?

Inon: Non siamo contro nessuno; le manifestazioni sono importanti e alcuni di noi vi partecipano. Ma questa non è una manifestazione. Stiamo cambiando la cornice e parliamo piuttosto di speranza e di futuro. L’idea è di costruire una coalizione e lavorare insieme.

Abu Sarah: Penso a quando ero bambino a Gerusalemme Est e, onestamente, non ho mai visto o sentito parlare di un movimento per la pace israeliano, e ci sono israeliani che non hanno mai visto un movimento per la pace palestinese. L’impossibilità di vedere questi movimenti ha creato la percezione che dall’altra parte non ci sia nessuno che voglia portare la pace, che si preoccupi dei diritti umani e così via. Questo nostro evento, che sta facendo molto rumore, vedrà migliaia di persone dire che vogliono vivere insieme, trovare un modo per porre fine allo spargimento di sangue e lavorare con i partner dell’altra parte. Questa dichiarazione è di per sé molto forte e sarà un messaggio importante per la parte palestinese.

È qualcosa di nuovo. L’unico modo per avere un impatto è una sorta di unità, anche se non siamo esattamente uguali e ci sono differenze qua e là. Un incontro di migliaia di persone non porrà fine allo spargimento di sangue e non porterà la pace domani, ma è un passo importante. Se continuiamo su questa strada e le organizzazioni imparano a lavorare insieme, il potere di tutti raddoppierà.

Israeliani che partecipano a una protesta in cui si chiede la fine della guerra e il rilascio degli ostaggi, mentre marciano per le strade di Tel Aviv. 9 maggio 2024. (Arie Leib Abrams/Flash90)

Uno dei principali ostacoli a un cessate il fuoco è il governo israeliano, che si rifiuta di fare un accordo. L’evento è anche un messaggio al governo, per spingerlo ad accettare?

Inon: È una buona domanda, ma non risponderò direttamente. Siamo stati sopraffatti dagli estremisti, da entrambe le parti, e questi estremisti si nutrono di spargimenti di sangue, vendette e uccisioni. Ora è il momento di elaborare un’alternativa – ideologica e politica – che cambi il discorso, ed è quello che stiamo facendo.

Il 7 ottobre ho perso entrambi i miei genitori e tanti amici d’infanzia. Ho provato rabbia e desiderio di punire e vendicarmi del governo israeliano, che aveva ripetutamente promesso ai miei genitori sicurezza e protezione. Dopo ogni ciclo di spargimento di sangue, hanno sempre continuato a farci questa promessa. Naturalmente, hanno fallito e i miei genitori ne hanno pagato il prezzo. Ma ho deciso di perdonarli. Non mi interessa punirli, per me sono irrilevanti.

Apriremo l’evento con la lettura della poesia “Vendetta” di Taha Muhammad Ali. [L’autore della poesia immagina inizialmente come vendicarsi dell’assassino di suo padre.] Questa bellissima poesia termina dicendo che la miglior vendetta verso l’assassino di suo padre sarà quella di ignorarlo mentre passa per strada. Allo stesso modo, ho deciso di ignorare il governo. Fanno parte del passato. Preferisco concentrarmi sul futuro, non su un governo o su un politico piuttosto che un altro. Chiunque voglia aderire, la porta sarà sempre aperta. Anche a chi oggi sceglie la violenza.

Abu Sarah: Non credo che molti partecipanti sostengano le politiche del governo israeliano o le azioni di Hamas. Se l’evento si fosse concentrato su questi argomenti, sarebbe stato negativo; potremmo concentrarci sui governi che hanno fallito per decenni e che ci hanno portato al punto in cui siamo oggi, ma possiamo invece concentrarci su come andare avanti e lavorare insieme nonostante questi ostacoli.

Una delle cose che i governi israeliani dicono da decenni è che non c’è un partner palestinese dall’altra parte. Si può discutere e urlare che si sbagliano, oppure si può dimostrare che è una stupidaggine, che c’è un partner, che siamo qui. L’esistenza di Maoz e di me è la più grande minaccia per gli estremisti, che sostengono che la guerra, i bombardamenti e le uccisioni sono l’unica via. Stiamo dimostrando qual è l’alternativa, quale sarà la strada per la pace. Quando le persone trovano un punto d’incontro, questo è il più grande antidoto all’estremismo.

Maoz Inon e Aziz Abu Sarah incontrano Papa Francesco a Verona, Italia, 18 maggio 2024. (Media Vaticani)

Voi chiedete di fare un accordo “Tutti per tutti”, cioè il rilascio di tutti i prigionieri palestinesi e di tutti gli ostaggi israeliani. All’inizio della guerra, questo appello si sentiva anche in Israele, ma poi è stato emarginato.

Inon: Dobbiamo tornare all’accordo “Tutti per tutti” che era sul tavolo. I prigionieri possono svolgere un ruolo significativo nella riconciliazione e nella costruzione della pace.

Abu Sarah: Se si guarda a chi sono le persone che possono parlare a nome dei palestinesi, che ne avrebbero potere e legittimità, sono tutti prigionieri. Capisco che la gente dica: “Ma come è possibile, visto quello che hanno fatto?”. Ma nei conflitti, tutte le persone coinvolte hanno le mani sporche di sangue e sono quelle che possono legittimare un accordo che durerà, come in Irlanda del Nord e in Sudafrica. Senza i prigionieri, non ci sarebbe alcun accordo.

[L’ex presidente degli Stati Uniti] Barack Obama ha detto che dobbiamo ammettere che la colpa è di tutti per non aver agito prima del 7 ottobre. Quando c’è un cessate il fuoco, non vogliamo dire: “Ora tutto va bene” e non fare nient’altro, come prima di ottobre. Non vogliamo dire che lo status quo è sostenibile; speriamo di spingere affinché lo status quo non venga mantenuto.

All’inizio del mese sono stato in Irlanda del Nord. Sembra che, prima dell’Accordo del Venerdì Santo, tutte le parti avessero la sensazione di averne abbastanza. In Israele, si ha la sensazione che l’opinione pubblica, o almeno una parte di essa, non sia ancora stanca della guerra e della violenza, e forse anche il contrario: che la gente voglia continuare con tutte le sue forze.

Inon: Un sondaggio condotto da “aChord” mostra che il 74% dei cittadini israeliani è favorevole a un accordo diplomatico. Il sondaggio dimostra che forse non stiamo leggendo correttamente la mappa. Inoltre, al momento nessuno offre un’alternativa, ed è qui che entriamo in gioco noi. Per la prima volta in molti anni, proponiamo una soluzione all’insostenibile status quo e al continuo spargimento di sangue. Questa è la nostra missione.

Ebrei che assistono a una preghiera per il ritorno degli ostaggi israeliani detenuti da Hamas nella Striscia di Gaza, presso il Muro Occidentale, nella Città Vecchia di Gerusalemme, il 21 marzo 2024. (Chaim Goldberg/Flash90)

Abu Sarah: Ho lavorato molto in Irlanda del Nord. Ho incontrato soldati e membri di organizzazioni, agenti di polizia e militari. A un certo punto, hanno capito che la pace stava arrivando. Hanno capito che ciò che avevano fatto avrebbe solo prolungato la guerra e la sofferenza, e hanno visto amici e familiari pagare il prezzo di ciò che avevano fatto. C’è voluto del tempo, ma una volta capito quanto era profondo l’impatto sulle famiglie e sulle vite, questo ha contribuito a creare la trasformazione.

Ancora oggi, la società nordirlandese è molto frammentata. Circa il 92% delle scuole è segregato. Tuttavia, hanno capito che anche se l’Accordo del Venerdì Santo non era perfetto, l’alternativa era molto peggiore. Tutti quelli che ho incontrato lì hanno detto che non era l’accordo che sognavano, ma che era meglio dell’alternativa. Dobbiamo fare in modo che anche la gente di qui se ne renda conto.

Gli incontri di dialogo tra palestinesi e israeliani si tengono dagli anni ’90 e sono stati oggetto di molte critiche, tra cui quella di mantenere lo squilibrio di potere e di servire solo la parte forte.

Abu Sarah: Sono un po’ più cinico di Maoz. Ero molto critico nei confronti dell’idea del lavoro “da persona a persona”. Mi sembrava che non fosse sufficiente, che si parlasse molto ma non si facesse molto. Questo è un aspetto su cui il movimento per la pace deve fare attenzione.

Ricordo che alla fine degli anni ’90, quando sono entrato nel movimento per la pace, c’era molta speranza. Ricordo un grande incontro tra israeliani e palestinesi a Gaza nel 2000, prima che tutto esplodesse. Ma alla fine quel movimento per la pace si è delegittimato, ed è per questo che, come ha detto Maoz, uno dei nostri obiettivi è quello di crearci una legittimità.

In passato, non sono riusciti ad andare oltre il dialogo. Ciò che è diverso ora, almeno per alcuni, è che c’è più di un semplice dialogo. Lo si vede in movimenti come Standing Together, Combatants for Peace, Rabbis for Human Rights. Si vede che non si tratta solo di dialogo, ma anche di lavorare insieme, di costruire ponti più solidi, di vedere cosa è necessario e come possiamo colmare questi bisogni. Questo movimento è molto più forte e impara dal passato.

Inon: Stiamo sognando, ma con un piano: fare la pace entro il 2030. Dobbiamo verificare costantemente che le nostre azioni siano efficaci. Questa è esattamente la formula per creare speranza, immaginare insieme un futuro migliore e trasformarlo in realtà. Siamo già stati molto efficaci e stiamo crescendo. Il dialogo è solo una fase del piano. L’obiettivo non è il dialogo, ma la pace.

Attivisti di sinistra protestano contro la guerra, chiedendo il cessate il fuoco a Gaza. Tel Aviv, 18 gennaio 2024. (Itai Ron/Flash90)

Per quanto riguarda un piano di pace verso il 2030: intendete pubblicare un piano concreto, che includa passi e richieste delle parti?

Abu Sarah: Non è il momento di dire esattamente dove saranno i confini; a mio avviso, non è mai stato questo il problema. Il problema era raccogliere la volontà, una massa critica che sostenesse un accordo. Il problema è stato che le persone hanno dirottato il processo politico. Nel campo delle idee c’è, ad esempio, Una terra per tutti [che promuove una confederazione], l’Iniziativa di Ginevra [che promuove due Stati] e altro ancora. Non sono le idee a mancare.

Intendete affrontare le questioni centrali della controversia, come il diritto al ritorno?

Abu Sarah: Penso che esamineremo tutte le questioni. Il principio fondamentale di cui stiamo parlando è l’uguaglianza, la dignità e la sicurezza. Non importa se in un paese o in due. Non ci sarà pace con l’occupazione o l’ingiustizia. Siamo degli illusi se pensiamo che sia possibile parlare di pace senza parlare di tutte queste questioni. La questione è quali sono i valori umani fondamentali su cui siamo d’accordo.

Persone di tutto il mondo hanno espresso la loro simpatia e il loro sostegno al vostro progetto. Pensate che in questo momento il progetto possa essere accettato anche qui, vista l’attuale situazione politica – a Gaza, in Cisgiordania, a Gerusalemme, in Israele – e alla luce di tutte le critiche mosse in passato al processo di pace?

Abu Sarah: Penso di sì. Le persone sono ancora molto pragmatiche, nonostante il dolore e la rabbia. Uno dei miei più cari amici di Gaza, ha avuto 50 membri della sua famiglia uccisi – zii, zie, cugini, tutti se ne sono andati. Volevo parlare della storia di questo amico a un evento, così ho chiesto a Maoz se si sentiva di farlo. Non ha esitato e ha risposto: “Al cento per cento, è quello di cui abbiamo bisogno”.

Il motivo per cui si vedono sondaggi in cui molti palestinesi rispondono contro la pace, o esprimono sostegno alla violenza o ad Hamas, è la mancanza di una visione o di un processo politico. Una volta che ci sarà una visione, che la gente vedrà che c’è un’altra strada, le cose cambieranno. Ecco perché ho detto che siamo la più grande minaccia per gli estremisti. Una volta che la strada sarà tracciata, sarà adottata dalla stragrande maggioranza dei palestinesi.

Nella Bibbia, nel libro dei Proverbi, si dice: “Dove non c’è visione, il popolo perisce”. E in assenza di una visione politica per un movimento di pace, in assenza di un lavoro comune, l’unica alternativa è la violenza. Non ho dubbi che i palestinesi di Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza sosterranno il movimento se vedranno qualcosa di concreto.

In collaborazione con LOCAL CALL

Oren Ziv è un fotoreporter, reporter di Local Call e membro fondatore del collettivo fotografico Activestills.

https://www.972mag.com/maoz-inon-aziz-abu-sarah-peace-conference

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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