di Hagai El-Ad,
Haaretz, 2 febbraio 2022.
Un attivista morto, un bambino detenuto, una casa demolita: è solo un’altra giornata negli sforzi arroganti e immorali di Israele per cancellare l’identità, la vita e la dignità dei palestinesi
Un attivista morto, un bambino detenuto, una casa demolita. C’è qualcosa di nuovo?
È stato solo un altro giorno in cui migliaia di persone hanno preso parte al funerale di Haj Suleiman al-Hathaleen a Umm al-Kheir. Per Israele, la sua comunità non esiste, è solo un’altra località palestinese da cancellare e sostituire, soffocata lentamente mentre il vicino insediamento fiorisce: le sue case iniziano letteralmente dove finiscono le baracche di Umm al-Kheir .
Haj Suleiman era un convinto sostenitore della sua comunità. Era un palestinese qualunque di fronte a un regime che lavora instancabilmente per rendere invisibile il suo popolo. È stato investito da un camion che lavorava al servizio della polizia israeliana; la versione ufficiale è che era invisibile all’autista. Lo hanno lasciato lì al suo destino, senza fornire assistenza medica. È morto per le ferite riportate, dopo due settimane di lotta tra la vita e la morte.
Per i suoi genitori, Amal Nakhleh è una cosa importante. Era nato prematuro, quindi lo chiamarono Amal – speranza – nella speranza che sopravvivesse. E lui ce l’ha fatta.
Per Israele, Amal è solo un altro nessuno palestinese. Il fatto che abbia appena compiuto 17 anni e che soffra di una malattia autoimmune non ha alcuna importanza. Da oltre un anno è detenuto in “detenzione amministrativa“, il termine imbiancato di Israele che descrive la routine kafkiana di trattenere a tempo indeterminato qualcuno –un nessuno– senza accusa o processo. La stessa settimana in cui Haj Suleiman è stato sepolto, Amal ha compiuto 18 anni, mentre era in carcere. Pochi giorni prima, Israele ha prolungato la sua non-condanna per la quarta volta.
Per decenni, la famiglia Salhiye ha chiamato casa il quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme. Ma non era la casa originale della famiglia: nel 1948, quando fu fondata Israele, la famiglia fu espulsa da Ein Karem, che è ora un quartiere residenziale artistico in un’altra parte della città.
Erano passate poche ore della notte successiva al giorno in cui Haj Suliman fu seppellito. Era ancora buio e gelido quando la polizia di frontiera e il bulldozer si sono presentati nell’oscurità della notte, e non ci è voluto molto prima che Israele gettasse fuori –di nuovo–la famiglia Salhiye dalla sua casa. Poi il bulldozer ha fatto il suo lavoro.
A questi frammenti della vita –e della morte– dei palestinesi se ne aggiungono numerosi altri. Almeno tre, in un solo giorno. Molti altri si sono svolti proprio quel giorno, e la settimana prima, e il mese precedente e l’anno prima. E così via.
Questa brutalità schiacciante non è nuova. Si fa sentire sulla vita di ogni palestinese. Il proiettile o il bulldozer, il permesso negato o la prigione prolungata, l’umiliazione e la disumanizzazione. Questo è l’apartheid. Sorveglianza israeliana ad alta tecnologia mista a violenza di basso livello, incentrata sulla supremazia ebraica, apartheid insomma.
Ovviamente Israele negherà tutto. Haj Suliman? Un incidente d’auto è oggetto di indagine (sono passate alcune settimane; l’autista deve ancora essere interrogato dalla polizia; in ogni modo, Israele nasconde regolarmente quasi tutti i casi di uccisioni di palestinesi da parte delle sue forze di sicurezza).
La prolungata incarcerazione senza processo di Amal? Niente di cui preoccuparsi, grazie alla supervisione giudiziaria israeliana di livello mondiale (dai giudici militari ai giudici dell’Alta Corte, tutti regolarmente approvano questa -e molte altre- misure draconiane contro i palestinesi senza nemmeno una parvenza di giusto processo; le “prove” rimangono segrete, quindi sono fatte in modo che sia impossibile provare la propria innocenza).
La famiglia Salhiye? Secondo la legge israeliana, non possono reclamare la loro casa a Ein Karem, perché sono palestinesi. E in base alla legge israeliana, alle sentenze dei tribunali e alle distorte interpretazioni legali, molte altre famiglie palestinesi dovrebbero essere espulse dalle loro case di Gerusalemme, per far posto ai coloni ebrei.
Tutti i dettagli sono stati studiati con cura. Questa brutalità vuole nascondersi all’interno dello “stato di diritto”. In effetti, essere così inserito nella legge –e come tale così celebrato dalla propaganda israeliana– rende questo sistema ancora più orribile.
È stato solo un altro giorno negli sforzi arroganti, immorali e brutali di Israele per cancellare l’identità, la vita e la dignità dei palestinesi. Eppure Umm al-Kheir è un luogo vero. E Amal Nakhleh è vivo, come speravano i suoi genitori quando è nato prematuro di tre mesi. E la famiglia Salhiye non ha dimenticato Ein Karem.
È stato solo un altro giorno. È difficile contenere la rabbia o trattenere le lacrime. Quanti altri giorni come questo ci aspettano?
Hagai El-Ad è un’attivista israeliano per i diritti umani e direttore esecutivo di B’Tselem. Twitter: @HagaiElAd
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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