Con l’intensificarsi delle proteste, le donne beduine stanno prendendo il timone nel Negev

di Samah Salaime,

+972 Magazine, 19 gennaio 2022.

Donne e ragazze sono sempre più in prima linea nella resistenza dei beduini all’espropriazione della loro terra da parte di Israele, e sono solo all’inizio.

Donne e ragazze beduine protestano contro la forestazione e l’esproprio della loro terra da parte di Israele, Sa’wa al-Atrash, Naqab, 12 gennaio 2022. (Oren Ziv/Activestills.org)

I cittadini beduini nel Naqab/Negev stanno intensificando la loro lotta contro le politiche di ebraizzazione di Israele, l’esproprio delle loro terre e contro il progetto di rimboschimento del Fondo Nazionale Ebraico (JNF) a spese dei villaggi non riconosciuti dallo stato. Ma quelle che sono davvero venute alla ribalta in questa ondata di proteste sono le donne e le ragazze dei villaggi minacciati di esproprio, che sono uscite fuori e si sono schierate insieme agli uomini per affrontare i bulldozer del JNF.

Chiunque abbia seguito la lotta di generazioni per il riconoscimento e la regolarizzazione dei palestinesi nel Negev non poteva non notare questo fenomeno: in ogni protesta ci sono state sempre più donne e ragazze in prima linea.

Ventisei donne, insieme a dozzine di attivisti e manifestanti maschi, sono state arrestate durante le dimostrazioni della scorsa settimana nel villaggio di a-Sa’wa al-Atrash contro i piani del JNF di impiantare una foresta su terreni agricoli beduini. La maggior parte delle donne è stata rilasciata agli arresti domiciliari, ad eccezione di una giovane donna, la 25enne Nawal Abu Kaf, la cui detenzione è stata prolungata fino a domenica scorsa. Abu Kaf, un’insegnante di supporto del Sapir College che sostiene la sua famiglia rimasta senza il padre, è stata arrestata e picchiata davanti alle telecamere. Secondo testimoni oculari, era accanto ad altri attivisti, ebrei e arabi, e non aveva usato alcuna violenza.

Le donne si son fatte sentire anche sui social media in arabo, ebraico e inglese. Si sono messe in prima linea sulla scena mediatica insieme ai veterani della lotta – politici e membri del comitato dei villaggi non riconosciuti – come parte di un gruppo popolare non eletto che comprende rappresentanti dei villaggi beduini non riconosciuti e che non includeva una sola donna.

“La gente non capisce la realtà dei palestinesi in Israele”

Aden al-Hajoj è una volontaria di 18 anni dell’Associazione Ajik e insegna inglese ai bambini del villaggio di Umm Batin. Si è trovata al centro delle dimostrazioni della scorsa settimana, parlando alla telecamera in un inglese fluente e nitido di ciò che stava accadendo intorno a lei. Il video è diventato virale sui social media, dopo di che è stata intervistata da varie testate.

Donne e ragazze beduine protestano contro il rimboschimento e l’espropriazione della loro terra da parte di Israele, Sa’wa al-Atrash, Naqab, 12 gennaio 2022. (Oren Ziv/Activestills.org)

Al-Hajoj attribuisce la sua conoscenza dell’inglese al fatto che ha vissuto in Canada mentre sua madre completava lì i suoi studi di dottorato. Dice che, nonostante la distanza, non ha mai smesso di seguire le vicende del suo villaggio e del Negev, dove è nata e cresciuta, e in cui sarebbe tornata.

“In Canada il discorso su Israele è distorto”, afferma al-Hajoj. “La gente non comprende la realtà dei palestinesi in Israele, e certamente non la realtà della società beduina. Quindi dovevamo stare molto vigili e siamo diventati una specie di ambasciatori.

“Il mondo deve sentire e vedere cosa sta succedendo qui con questo stato militare, la cosiddetta unica democrazia in Medio Oriente, che calpesta i diritti di chiunque non sia ebreo”, continua. “Sui social ho molti seguaci che hanno il diritto di capire cosa stiamo passando io e la mia famiglia, di capire cosa sta realmente facendo Israele sul terreno.

“Come la lotta a Sheikh Jarrah: senza i social media e senza le dirette in streaming dei gemelli El-Kurd, tutto sarebbe passato sotto silenzio e il mondo si sarebbe bevuto la narrativa israeliana come se noi, i palestinesi, fossimo criminali e invasori di un territorio che non è nostro”, aggiunge Al-Hajoj. “È vero il contrario: io sono nata qui, mio ​​padre e mio nonno erano qui da prima della costituzione dello Stato di Israele. I bulldozer del JNF sono gli invasori e i violenti”.

Al-Hajoj vuole addestrare altre ragazze ad avere il coraggio di parlare, perché hanno gli strumenti –telefoni e internet– oltre a quella che lei chiama “la semplice verità”: la consapevolezza che “una società che era qui prima della costituzione dello stato rimarrà qui e continuerà a opporsi all’espropriazione e all’oppressione”.

Il coinvolgimento di ragazze e donne nella protesta contro il progetto di forestazione del JNF è la continuazione di una rivoluzione che le donne del Negev stanno guidando, sia politicamente che socialmente. Da anni uomini e movimenti conservatori, tra cui il Movimento Islamico, si oppongono alla presenza delle donne in prima linea negli eventi di massa, per ragioni di “modestia” e conservatorismo. La maggior parte delle volte volevano le donne dietro un telo di separazione nelle tende di protesta. Le femministe con un’agenda liberale che si opponevano alla poligamia e al matrimonio minorile non erano ben accolte.

Allo stesso tempo, sono state le donne del Negev a portare sulle loro spalle il difficile compito di emancipare altre donne. Hanno iniziato a lavorare in ONG che promuovono l’occupazione, l’apprendimento, l’indipendenza finanziaria, l’avanzamento delle giovani donne nel mondo accademico e, in particolare, l’istruzione e l’assistenza sociale.

Ma ad ogni risultato, cresce l’appetito di averne ancora di più. Ogni femminista si rende conto molto rapidamente che è impossibile separare l’accesso all’istruzione superiore dalla conquista di trasporti pubblici in un villaggio non riconosciuto. Che è impossibile lottare contro l’abbandono scolastico senza lottare per il diritto di aprire una scuola nel villaggio. Che le donne non potranno lavorare a Be’er Sheva, nemmeno come addette alle pulizie, se la loro tribù non ha un asilo nido o una scuola materna. Tutti questi problemi “femminili” sono strettamente legati allo status dei beduini nel Negev e alla loro lotta per la terra e contro l’espulsione.

“Le donne sono ovunque e lo sono sempre state”

Hanan Alsanah, avvocata, attivista sociale femminista e direttrice esecutiva del Negev Coexistence Forum for Civil Equality, è attiva nelle organizzazioni femminili da oltre due decenni. Le ricordo che da molti anni ci incontriamo in ogni manifestazione contro il femminicidio o/e contro le demolizioni di case, ma che a molte di queste manifestazioni hanno partecipato solo poche donne, generalmente note attiviste e coordinatrici di varie ONG. Vedendo cosa sta succedendo in queste nuove proteste, le ho chiesto se crede che qualcosa stia cambiando.

La polizia arresta una donna durante una protesta beduina contro l’esproprio e la forestazione di terre da parte di Israele, fuori Sa’wa al-Atrash, Negev, 13 gennaio 2022. (Oren Ziv/Activestills.org)

“È sicuramente una tendenza. Lenta, ma persistente”, dice Alsanah. “Ora, poiché tutto è riportato sulla stampa, stiamo prestando attenzione [alla tendenza]. Nel 2011 abbiamo organizzato una delle prime proteste delle donne fuori dal Negev contro la demolizione delle case. C’è stata una discussione con gli uomini: come portiamo le donne a Gerusalemme per manifestare alla Knesset? Abbiamo suggerito una dimostrazione per sole donne. Non potevano opporsi alle attività per sole donne.

“Abbiamo organizzato sei autobus completi”, ricorda Alsanah. “Su ogni autobus un rappresentante del comitato locale o un membro anziano della tribù si imbarcava come scorta. Non abbiamo trovato una sola donna abbastanza coraggiosa da salire sul palco. Solo gli uomini parlavano, era una cosa stridente. Poi Umm Fares del villaggio di Al-Zarnog è salita sul palco, coperta dalla testa ai piedi, e ha parlato a voce molto alta.

“Le donne sono ovunque e lo sono sempre state, sicuramente come parte attiva della folla, ma a volte anche sul palco: ad al-Araqib, nella grande manifestazione di Wadi al-Na’am, alle demolizioni di Qasr al-Sir, a Umm Zarnok, in opposizione al Piano Prawer, alle demolizioni di Bir Hadaj”, continua Alsanah. “Le donne erano in prima fila a terra, meno sul palco. Oggi è impossibile respingerle. Gli uomini hanno anche capito il potere di una donna con sette bambini in piedi di fronte a soldati e a un bulldozer.

“Oggi non devo organizzare gli autobus. Le donne si stanno organizzando i loro mezzi privati”.

“Crescere figli all’ombra di questa tragedia è attivismo”

Huda Abu Obeid si è distinta nelle sue attività di leader nella protesta contro il Piano Prawer nel 2013, e oggi gestisce il dipartimento lobbying e media nel Negev Coexistence Forum. Mi mostra una foto del 1987 di donne e bambini in una manifestazione contro l’esproprio di terreni appartenenti al villaggio di Lakiya.

“Sono nata nel 1988 e conosco le donne della foto che sono ancora al centro della lotta”, dice Abu Obeid. “Non c’è dubbio che quello che sta succedendo qui con le giovani donne è un balzo in avanti, ma non è una novità. Tutti i beduini del Negev sanno che le donne sono sotto tiro e che un giorno saranno loro a dover resistere: l’incitamento contro di noi è implacabile.

“Guarda, ad esempio, la potente Fida’a Abu Kardod, una madre single la cui casa è stata demolita nel 1994. Si è recata a Gerusalemme e ha allestito una tenda di protesta, rimanendo davanti all’ufficio del Primo Ministro per tre mesi fino a quando nel suo villaggio, Abdah, è stato avviato il processo di riconoscimento. L’hanno chiamata la Dama di Ferro. E non aveva Instagram”.

Secondo Abu Obeid, le organizzazioni femminili e le organizzazioni della società civile hanno preso parte attiva alla sensibilizzazione, più dei movimenti politici. I partiti politici, così come l’Arab Higher Monitoring Committee, che coordina le attività politiche tra i cittadini palestinesi di Israele, sono sempre lenti a celebrare i risultati della protesta popolare sul campo, dice Obeid.

Donne e ragazze beduine protestano contro la forestazione e l’espropriazione della loro terra da parte di Israele, Sa’wa al-Atrash, Naqab, 12 gennaio 2022. (Oren Ziv/Activestills.org)

Abu Obeid crede che la rivoluzione che le giovani donne del Negev stanno conducendo in termini di istruzione, lavoro e mezzi di sussistenza stia dando loro la forza e gli strumenti per parlare e protestare. E sebbene sia consapevole che ci sono tentativi di sminuire queste giovani donne, come l’affermazione che hanno il tempo di protestare solo perché sono single, o che potrebbero essere figlie di donne del nord e non proprio beduine fino all’osso, Obeid rifiuta questi attacchi. “Ormai siamo abituate a queste affermazioni, che mirano a dividere le donne e a ridurre il nostro potere”, afferma.

I social media, e in particolare Instagram e Tiktok, “sono strumenti che in precedenza non erano disponibili per le ragazze”, continua Abu Obeid. “Le proteste a Sheikh Jarrah, seguite da molte ragazze, hanno dato l’impressione che facciamo parte della stessa storia di fronte all’establishment e che anche noi possiamo far sentire la nostra voce”.

Sabrin al-Asem, giornalista della stazione radio locale “Voice of the Negev” da lei fondata, pensa che il ruolo delle donne nelle proteste si sia intensificato dopo un’ondata di demolizioni di case a Umm al-Hiran qualche anno fa. Le donne hanno visto le demolizioni e hanno deciso di agire.

“Crescere figli all’ombra di questa tragedia è una forma di attivismo, secondo me”, dice al-Asem. “In mezzo a questa angoscia, non si può far altro che diventare un’attivista con forte consapevolezza politica. Quando la tua casa è il tuo regno e vengono a distruggerlo, le donne non possono più rimanere in silenzio. Documentare e filmare tutto ciò che accade ha dato potere alle donne. Molte donne hanno seguito una formazione speciale su come documentare gli eventi e quali sono i loro diritti di fronte alla polizia e alle forze di demolizione. Una donna con una macchina fotografica è una donna forte, questa è una cosa che tutti hanno imparato”.

Diventare virale

Ho guidato fino a a-Sa’wa al-Atrash, un villaggio relativamente grande rispetto ai villaggi non riconosciuti del Negev. Stavo cercando le ragazze le cui foto tappezzavano tutti i social media. Ho trovato una grande folla in uno degli edifici, dove si stava svolgendo un raduno di attivisti del partito di sinistra Hadash. Erano venuti dal nord per stare con i beduini nella loro lotta; le attiviste di Hadash erano le uniche donne nella folla.

Jenin al-Azraq, una timida diciassettenne, è diventata famosa dopo che le fotografie del suo arresto durante le proteste sono diventate virali. Suo padre, che non era presente quando è stata arrestata, si è chiesto come abbia fatto sua figlia a trovarsi proprio in mezzo alla tempesta.

a polizia israeliana arresta Jenin al-Azraq durante una protesta nel villaggio di a-Sa’wa al-Atrash nel Naqab/Negev, 13 gennaio 2022. (Oren Ziv)

“Una volta non avevamo bisogno di donne nelle manifestazioni”, dice suo padre Suleiman. “Contro Prawer [il piano del governo del 2013 per espellere decine di migliaia di beduini dalla loro terra], ad esempio, gli uomini si sono recati nei centri di protesta. Ora i bulldozer sono venuti a casa nostra, sulla nostra terra, cosa dovrei fare? Le donne dovevano uscire e fare qualcosa. Le forze di sicurezza sono arrivate in cerca di problemi e di confronto. Sono venuti con soldati e polizia, cioè sono venuti pronti ad arrestare anche le nostre ragazze. Da quando arrestano le nostre ragazze?”

Jenin dice di essere andata alla manifestazione perché nella chat del gruppo dei suoi compagni di classe è stato inviato un messaggio in cui si diceva che i suoi amici erano sotto attacco. “Tutti noi della classe siamo rimasti uniti e abbiamo gridato”, ricorda. “Improvvisamente, poliziotti uomini e donne ci hanno aggredito. Mi hanno tirato fuori dalle file – senza motivo, non avevo fatto niente di speciale. Due grosse poliziotte mi hanno tirato e spinto in macchina. Non sapevo cosa mi sarebbe successo o dove mi avrebbero portato. Non mi hanno picchiato, almeno. In seguito ho saputo che i miei amici erano stati picchiati”.

Di fronte ai bulldozer

Poi sono andata dalle ragazze della famiglia al-Atrash, la cui terra era al centro della tempesta. Le donne della famiglia – zie, sorelle e molti bambini – si sono radunate nel soggiorno della modesta casa per spiegare cosa era successo a loro.

Rania e Sujud al-Atrash, rispettivamente cugina e amica di Jenin al-Azraq, si sono unite alla manifestazione, affrontando bulldozer e personale del JNF. “Dopo aver arrestato Jenin, due poliziotti uomini sono arrivati e mi hanno aggredito, spinto verso l’auto della polizia e ammanettato”, dice Rania. “Mi hanno lasciato sola per un’ora nella jeep e da lì mi hanno portato alla stazione di polizia, dove mi hanno spinto in una cella di prigione in cui ho passato quattro ore da sola.

 “Mi hanno insultato e hanno urlato contro di me senza motivo, e dopo aver portato altri detenuti, mi hanno spinto contro un muro ogni volta che parlavo con gli altri. Non sapevo cosa volessero da me e cosa gli avessi fatto. Guarda le mie mani e i miei piedi con i segni delle loro manette.

Rania dice che non aveva paura, anche se questa è la prima volta che è stata arrestata, portata in una stazione di polizia e portata davanti a un giudice. Dice di essersi sentita distaccata dall’intera situazione, come se stesse guardando dall’alto un film dell’orrore.

“Ho dormito in prigione e tutta la notte ho pensato all’esame di maturità di giovedì”, ricorda. “Sapevo che se fossi rimasta lì non avrei sostenuto il test. Mio padre ha pagato 5.000 NIS e un avvocato ha fatto in modo che fossi rilasciata agli arresti domiciliari per 10 giorni.

“Devo fare la brava ragazza fino a domenica prossima”.

Samah Salaime è un’attivista e scrittrice femminista palestinese.

Questo articolo è stato pubblicato in collaborazione con Local Call.

https://www.972mag.com/bedouin-women-naqab-jnf/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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