di Sarit Michaeli,
EUobserver, 16 luglio 2021.
Un lungo convoglio di mezzi diplomatici ha percorso due volte le strade sterrate che portano alla comunità palestinese di Khirbet Humsah dallo scorso novembre, quando le ruspe israeliane l’hanno devastata, nella prima di quella che è diventata ormai una serie di ben sei demolizioni.
La visita dei capi missione dell’Unione Europea in questo remoto villaggio nella valle del Giordano occupata, è stata annunciata come un forte segnale dall’UE, che si oppone –e vuole sfidare apertamente– l’intenzione dichiarata di Israele di spazzare via il villaggio.
I diplomatici hanno detto ai residenti e ai media che l’UE e paesi affini come il Regno Unito e la Norvegia, vedono la demolizione progettata da Israele come una chiara violazione dei suoi obblighi ai sensi delle leggi di occupazione, che essi respingono l’affermazione israeliana che quest’area è vietata ai Palestinesi perché è stata dichiarata zona di addestramento militare e che stanno fianco dei residenti e di tutte le comunità palestinesi a rischio di trasferimento forzato.
L’UE non ha solo inviato diplomatici di alto livello a vedere il relitto di Humsah. Ha inoltre fornito assistenza umanitaria ai residenti che –come praticamente tutte le altre comunità di pastori in “Area C” (il 60% della Cisgiordania occupata che rimane sotto il pieno controllo di Israele)– affrontano un’intensa pressione israeliana, intesa a impedire loro di svilupparsi secondo le esigenze della comunità.
Le restrizioni all’ottenimento di permessi di costruzione legali, le demolizioni di case e le confische di proprietà e strutture che generano mezzi di sussistenza sono descritte dalle Nazioni Unite come formazione di un “ambiente ostile” che cerca di costringere le persone ad allontanarsi dalla terra.
L’UE, attraverso il Consorzio di Protezione della Cisgiordania, ha finanziato sistemi di elettricità solare e servizi igienici mobili, tra le altre forme di assistenza, per consentire ai residenti di Humsah di resistere in questo ambiente ostile.
I diplomatici europei hanno protestato contro la condotta di Israele anche presso il ministero degli Esteri israeliano, con un’iniziativa diplomatica del febbraio 2021, che includeva anche l’onnipresente richiesta che Israele restituisca qualsiasi materiale finanziato da donatori europei che sia stato confiscato.
Quello stesso mese, la posizione europea è stata consegnata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, quando sei membri attuali e precedenti hanno chiesto a Israele di fermare le sue continue demolizioni del villaggio.
La raffica di attività diplomatiche chiaramente non ha impressionato le autorità di occupazione israeliane.
Mercoledì scorso (7 luglio), soldati e personale dell’Amministrazione Civile sono arrivati nella comunità, hanno dichiarato l’area zona militare chiusa e hanno negato l’accesso a giornalisti, attivisti per i diritti umani e diplomatici.
Le forze armate hanno smantellato e sequestrato strutture residenziali e agricole appartenenti a nove famiglie, che contano un totale di 61 membri, di cui 34 minori. Le forze armate hanno anche distrutto serbatoi d’acqua, recinzioni e attrezzature agricole.
Gli effetti personali dei residenti sono stati caricati su camion che li hanno trasportati alla comunità di ‘Ein Shibli, che si trova a ovest di Khirbet Humsah, ai margini dell’Area C, che Israele ha destinato al loro trasferimento forzato permanente, un crimine di guerra.
Ma i residenti di Humsah hanno resistito: i membri della comunità sono fuggiti sulle montagne con i loro greggi, rimanendo sulla loro terra con nient’altro che i vestiti che indossavano e alcune bottiglie d’acqua portate da attivisti palestinesi e israeliani. Nei giorni successivi all’operazione, i soldati israeliani continuano a impedire ogni accesso alla comunità devastata.
Silenzio UE
Incredibilmente, questa volta l’UE non ha detto nulla a proposito di questo crimine di guerra israeliano. Anzi.
Nei giorni successivi ci sono stati diversi sviluppi riguardo alle relazioni bilaterali: il nuovo ministro degli Esteri israeliano, Yair Lapid, ha partecipato a uno “scambio informale di opinioni ” in un pranzo con i 27 ministri dell’UE al Comitato Affari Esteri del 12 luglio, presieduto dall’Alto Rappresentante UE per gli affari esteri, Josep Borrell, che ha avuto anche lui un incontro bilaterale con Lapid.
L’incontro di Bruxelles è stato il primo del suo genere in più di un decennio e segna un disgelo delle difficili relazioni UE-Israele sotto i governi Netanyahu: “un nuovo inizio”, secondo la dichiarazione ufficiale dell’UE.
Nell’incontro, Lapid aveva il compito di promuovere l’ingresso di Israele nell’Europa Creativa, uno strumento di finanziamento della Commissione Europea per le arti creative, in cui è inclusa una clausola territoriale che vieta la partecipazione delle entità che si trovano negli insediamenti israeliani.
Secondo la formula proposta, Israele potrà aderire al programma rifiutando contemporaneamente la posizione più generale dell’UE, che si basa sul fatto che i suoi insediamenti sono illegali.
Nei suoi commenti dopo l’incontro, l’Alto Rappresentante Borrell non ha detto se i ministri hanno sollevato con Lapid l’abbattimento israeliano di Khirbet Humsa. In questi casi, i partecipanti normalmente riferiscono una “conversazione schietta e onesta”.
Borrell ha usato la dizione “scambio di ampio respiro e onesto” e anche “scambio amichevole, aperto e costruttivo” e si è rallegrato del fatto che Israele ora “ha pubblicamente sostenuto la ‘soluzione dei due stati'”.
Solo a parole
Ma il sostegno a parole dell’Europa ai diritti umani palestinesi, alla stessa politica dell’UE e al diritto internazionale non riesce a nascondere il fatto evidente che il totale disprezzo da parte di Israele delle iniziative dell’UE non ha portato a conseguenze di sorta: il più recente, sesto, tentativo di trasferimento forzato è stato perpetrato dal nuovo governo sotto il ministro della difesa Benny Gantz, della “coalizione del cambiamento” di Lapid, non del governo Netanyahu.
Questo sarà giustamente visto qui in Israele come nient’altro che acquiescenza alla politica del governo di distruggere le comunità palestinesi, per facilitare ulteriormente l’acquisizione della loro terra.
Perché un politico israeliano razionale dovrebbe considerare questa totale mancanza di coerenza nei confronti degli obiettivi di politica estera dell’UE e dei suoi principi sui diritti umani, come qualcosa di diverso da una licenza per continuare a inviare bulldozer per rimuovere i Palestinesi da una terra che l’UE considera parte di una possibile futura Palestina, e una licenza per confiscare gli aiuti dell’UE?
Dopo le demolizioni della scorsa settimana, le strade che portano alle rovine di Humsah hanno visto pochi veicoli diplomatici. Chiaramente, non è in corso alcuna visita di alto livello, e giustamente. Dopo la totale incapacità di far pagare a Israele la sua continua devastazione della comunità, qualsiasi dichiarazione europea di solidarietà con il popolo palestinese che vive sotto l’occupazione israeliana sarebbe vista come nient’altro che vuota retorica.
Sarit Michaeli è advocacy officer internazionale presso B’Tselem, il Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei territori occupati.
https://euobserver.com/opinion/152448
Traduzione di Donato Cioli – AssoPacePalestina
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