di Philip Weiss,
Mondoweiss, 8 giugno 2021.
“È l’ora che il mondo riconosca che ciò che abbiamo visto in Sudafrica decenni fa sta accadendo in Palestina… è l’ora che il mondo intraprenda un’azione diplomatica decisiva… verso la costruzione di un futuro di uguaglianza”.
La notizia di oggi è che due ex ambasciatori israeliani in Sudafrica hanno accusato il loro Paese di praticare l’apartheid creando bantustan per i Palestinesi in Cisgiordania e a Gaza. “È apartheid, dicono gli ambasciatori israeliani in Sudafrica”, scrivono Ilan Baruch e Alon Liel su Groundup.
Questa è un’altra accusa di apartheid mossa da persone serie in quello che Al Haq ha definito il “riconoscimento crescente” e “la prevalente conclusione legale che vi sia apartheid sul popolo palestinese nel suo insieme”.
C’è ovviamente una forte resistenza nel discorso ufficiale americano. Prima di arrivare all’argomento di Baruch e Liel, vorrei notare che negli ultimi giorni Bernie Sanders ha respinto l’accusa di apartheid dicendo che i progressisti dovrebbero “abbassare i toni della retorica” e David Makovsky ha detto che i critici chiamano Israele “con ogni sorta di cattivi nomi”. E la National Public Radio ha dato una tribuna a uno studioso che ha definito l’accusa “offensiva” per gli Ebrei.
Bene, ecco altri due Ebrei che fanno l’accusa di apartheid.
Baruch e Liel affermano di aver “imparato in prima persona la realtà dell’apartheid e gli orrori che ha inflitto”. E mettono in relazione il Sud Africa con le condizioni attuali in Cisgiordania, dove i Palestinesi sono compressi in territori sempre più piccoli.
Questa realtà ci ricorda una storia che l’ex ambasciatore Avi Primor ha descritto nella sua autobiografia a proposito di un viaggio in Sudafrica nei primi anni ’80, viaggio che fece con l’allora ministro della Difesa Ariel Sharon. Durante la visita, Sharon espresse grande interesse per il progetto bantustan del Sud Africa. Anche uno sguardo superficiale alla mappa della Cisgiordania lascia pochi dubbi su dove Sharon abbia ricevuto la sua ispirazione. La Cisgiordania oggi è composta da 165 “enclave”, cioè comunità palestinesi circondate dal territorio occupato dall’impresa di insediamento. Nel 2005, con la rimozione degli insediamenti da Gaza e l’inizio dell’assedio, Gaza è diventata semplicemente un’altra enclave – un blocco di territorio senza autonomia, circondato in gran parte da Israele e quindi anche effettivamente controllato da Israele.
I bantustan del Sudafrica sotto il regime di apartheid e la mappa dei territori palestinesi occupati oggi si basano sulla stessa idea di concentrare la popolazione “indesiderabile” in un’area il più piccola possibile, in una serie di enclave non contigue. Scacciando gradualmente queste popolazioni dalla loro terra e concentrandole in sacche dense e frammentate, sia il Sudafrica di allora che Israele di oggi hanno lavorato per contrastare l’autonomia politica e la vera democrazia.
Gli ex ambasciatori affermano ciò che Human Rights Watch ha affermato quando ha pubblicato il suo rapporto sull’apartheid ad aprile. Israele non ha alcuna intenzione di lasciare la Cisgiordania e Gerusalemme Est, dopo 54 anni di occupazione.
L’occupazione non è temporanea, e non c’è la volontà politica nel governo israeliano di porvi fine… È tempo che il mondo riconosca che ciò che abbiamo visto in Sudafrica decenni fa sta accadendo anche nei territori palestinesi occupati. E proprio come il mondo si è unito alla lotta contro l’apartheid in Sudafrica, è tempo che il mondo intraprenda un’azione diplomatica decisiva anche nel nostro caso e lavori per costruire un futuro di uguaglianza, dignità e sicurezza sia per i Palestinesi che per gli Israeliani.
Ecco come Human Rights Watch si è espresso nel rapporto scritto da Omar Shakir:
Dopo 54 anni, gli stati del mondo dovrebbero smettere di valutare la situazione attraverso il prisma di ciò che potrebbe accadere se un giorno il languente processo di pace dovesse essere rianimato, ma dovrebbero invece concentrarsi sulla realtà ormai di vecchia data sul terreno, che non mostra segni di cedimento.
Il Carnegie Endowment ha avanzato un’argomentazione simile quando ha chiesto ai governi di iniziare a usare i loro poteri –cioè le sanzioni– per spingere Israele verso la parità di diritti. Un co-autore di quello studio, Zaha Hassan, ha usato la definizione di “apartheid”, unendosi a una lunga lista di voci morali, da Jimmy Carter a Marc Lamont Hill, a Charney Bromberg, a Stephen Robert, a Black Lives Matter, a Rashida Tlaib.
Dieci anni fa un ex premier israeliano avvertì che il paese avrebbe dovuto affrontare uno “tsunami diplomatico” a causa della sua occupazione. “La delegittimazione di Israele è all’orizzonte”. Ora quello tsunami sembra finalmente arrivare. Anche se ci potrebbe volere ancora qualche anno prima che raggiunga il Campidoglio degli Stati Uniti.
Traduzione di Donato Cioli – AssopacePalestina
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