L’assurdità di chiedere che Gaza si procuri per conto suo il vaccino anti-Covid-19

di  Tania Hary,

+972 Magazine, 27 gennaio 2021.   

Israele non può scegliere selettivamente i suoi obblighi verso Gaza mentre mina ogni aspetto dell’autogoverno palestinese, specialmente durante una pandemia.

Dipendenti del Ministero della Sanità palestinese eseguono test medici a Rafah, Gaza, 14 gennaio 2021. (Abed Rahim Khatib/Flash90)

Più di 15 anni fa, Israele ha ritirato i suoi coloni da Gaza e ha smantellato le sue istallazioni militari. Anche prima del “disimpegno”, Israele ha iniziato a costruire una narrazione secondo la quale stava “lasciando Gaza” e non avrebbe avuto più alcun obbligo verso i suoi residenti palestinesi. In tribunale e nei comunicati del Ministero degli Esteri, ha sostenuto che non c’era stata un’occupazione a Gaza, ma in ogni caso, se c’era stata, ora era finita.

Dinanzi alla stampa e in dichiarazione pubbliche, i funzionari israeliani hanno trattato con sufficienza i Palestinesi della Striscia, dicendo che ora potevano dar prova di meritarsi un loro stato, dimostrando che sapevano trasformare Gaza nella nuova Singapore del Medio Oriente.

Chiunque all’epoca sapeva che questo sarebbe stato impossibile –non perché i Palestinesi sono intrinsecamente corrotti o incapaci di autogoverno, secondo un diffuso preconcetto– ma a causa della realtà sul campo. Israele non ha mai rinunciato al suo controllo su Gaza, comprese le sue frontiere terrestri, marittime e aeree. La creazione dello Stato di Israele, circa 60 anni prima, aveva trasferito centinaia di migliaia di Palestinesi, molti dei quali si erano rifugiati in una stretta striscia di terra che non era adatta a ospitarne così tanti e per così tanto tempo. Quella che avrebbe dovuto essere una crisi temporanea si trasformò in un incubo permanente di spoliazione e incuria.

Nel 2005, Gaza aveva già sperimentato 38 anni di governo militare israeliano come territorio occupato e un decennio di “autogoverno” sotto l’Autorità Palestinese, come previsto dagli Accordi di Oslo. Allora, come adesso, si pretendeva che l’AP si assumesse tutti gli oneri di sovranità senza godere di alcun beneficio, come pagare per l’assistenza sanitaria senza avere il controllo dell’economia.

In più di 15 anni dal disimpegno, invece di favorire le condizioni che avrebbero potuto rendere Gaza più simile a Singapore, Israele ha fatto l’opposto. Ha ripetutamente negato, bloccato e persino distrutto le fondamenta della pericolante economia e delle infrastrutture civili di Gaza. Lo ha fatto mediante la chiusura, le ripetute campagne militari e il continuo controllo dello spazio aereo di Gaza, delle acque territoriali, dei valichi di frontiera, del registro della popolazione e della maggior parte dei rifornimenti di elettricità e di combustibili. Nessuno di questi aspetti di autogoverno è stato trasferito a Gaza nel 2005. Al contrario, ognuno di essi è stato abilmente usato da Israele come strumento di pressione, persuasione e punizione. 

Sì, è vero, Israele affronta legittime preoccupazioni per la sua sicurezza, ma anche se si accetta il discorso che deve mantenere il controllo per ragioni di sicurezza, questo controllo dovrebbe tradursi in responsabilità. Purtroppo non è così. Per esempio, Israele si riserva il diritto di controllare i valichi di frontiera di Gaza, ma non sente alcun obbligo di assicurare che restino aperti o funzionino al massimo delle loro capacità.

La scorsa estate, in risposta al lancio di oggetti incendiari da Gaza, Israele ha chiuso l’unico valico commerciale di Gaza, causando penuria di carburante e la chiusura della centrale elettrica della Striscia. Milioni di persone che vivono una pandemia hanno lottato con interruzioni di corrente ancora più lunghe del solito, che colpiscono ospedali, imprese e case. Dallo scorso marzo, ha limitato i viaggi tra Gaza e Israele o la Cisgiordania in misura ancor più stretta di prima. Anche se ci sono stati aggiustamenti nei suoi provvedimenti interni per controllare la diffusione del virus, la “chiusura per coronavirus” di Gaza è praticamente rimasta invariata. Israele non sente alcun dovere di facilitare ai Palestinesi l’entrata e l’uscita da Gaza, e quando lo avverte, lo fa come se fosse un atto di carità. 

Palestinesi con mascherine in una strada principale di Rafah, Gaza, 19 novembre 2020. (Abed Rahim Khatib/Flash90)

La situazione dei rapporti pluridecennali di Israele con Gaza è la rappresentazione a scala ridotta e l’esempio più estremo dei rapporti di Israele con l’intero territorio palestinese occupato. Anche in Cisgiordania, dove le colonie stanno accanto alle comunità palestinesi, dove non si sparano razzi e dove non c’è la scusa del Valico di Rafah con l’Egitto (che comunque è chiuso e non porta ai principali mercati commerciali di Gaza), Israele nega i suoi obblighi verso i Palestinesi, compreso ora l’obbligo di distribuire equamente il vaccino per il Covid-19.

L’Autorità Palestinese sta lavorando con l’Organizzazione Mondiale per la Sanità e altri partner internazionali per cercare di procurarsi le dosi di vaccino, mentre allo stesso tempo chiede a Israele di adempiere ai suoi obblighi secondo il diritto internazionale di assicurare il benessere dei 4,5 milioni di Palestinesi che vivono sotto il suo controllo militare sia a Gaza sia in Cisgiordania. Finora Israele ha accettato di lasciar passare i vaccini provenienti dall’estero verso il territorio palestinese, ma rifiuta di esserne il fornitore. Per assurdo, adolescenti e altre persone giovani e sane in Israele stanno ricevendo il vaccino prima del personale medico in prima linea, degli anziani e degli immunodepressi palestinesi che vivono nelle immediate vicinanze.

Può darsi che l’AP e i suoi partner riescano alla fine a immunizzare la popolazione palestinese, anche se Israele continua a disconoscere la sua responsabilità di fornire il vaccino. Ritardare l’arrivo del vaccino per le persone anziane o a rischio e per il personale medico, significa inevitabilmente più sofferenza e più morte.

L’AP e l’autorità de facto di Hamas a Gaza devono continuare a lottare per provvedere ai bisogni del loro popolo come meglio possono nelle circostanze attuali. Anche loro hanno degli obblighi secondo la dottrina (infranta) di Oslo. Ma in quanto potenza occupante, Israele non può trasferire le sue responsabilità alle autorità palestinesi, e certamente non quando continua a minare la loro possibilità di adempiervi.

Nel frattempo Israele continua a scegliere con cura le clausole di legge che gli permettono di mantenere il controllo del territorio occupato senza assumersi alcuna responsabilità. Il rifiuto dei vaccini è solo l’ultimo e particolarmente crudo esempio delle conseguenze mortali che derivano dal permettere che Israele la faccia sempre franca.

Tania Hary è la direttrice esecutiva di Gisha, una ONG israeliana fondata nel 2005, il cui scopo è proteggere la libertà di movimento dei Palestinesi, soprattutto i residenti di Gaza.

https://www.972mag.com/gaza-covid-vaccine-israel/

Traduzione di Elisabetta Valento – AssopacePalestina

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