Gli alberi d’ulivo raccontano la storia della spoliazione avvenuta in Palestina

I Palestinesi di Saffuriya furono espulsi con la forza nel 1948 e gli fu proibito di tornare, lasciando dietro di sé antichi ulivi che oggi sono coltivati da Ebrei israeliani.

di Meron Rapoport

+972 magazine, 28 aprile 2020

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Una donna palestinese raccoglie le olive vicino a Betlemme, Cisgiordania, 6 ottobre 2011. (Doron Horowitz/Flash90)

La scorsa settimana, il mio collega Edo Konrad ha pubblicato un articolo che dà notizia del fatto che, in occasione della Giornata della Memoria dell’Olocausto, il Ministero della Difesa aveva deciso di donare alle famiglie israeliane in lutto bottiglie d’olio d’oliva prodotto in una colonia della Gisgiordania occupata.

L’olio d’oliva è prodotto da Meshek Achiya, una fabbrica situata nel cuore dei territori occupati, circa 45 km a nord di Gerusalemme, che fu istituita nel 1997 nell’avamposto coloniale di Achiya. Come Dror Etkes, un esperto delle attività nelle colonie, ha spiegato a Konrad, Meshek Achiya era uno dei sei avamposti creati a ovest della colonia di Shiloh al fine di impadronirsi della terra palestinese di proprietà privata.

A seguito della pubblicazione dell’articolo, alcune famiglie in lutto hanno lanciato una petizione chiedendo al Ministero della Difesa di riprendersi i doni.

Durante il fine settimana, “Haaretz Magazine” ha pubblicato un articolo sugli Israeliani che coltivano antichi ulivi in Galilea, nel nord di Israele. L’articolo si incentra sulla famiglia Noy-Meir, che coltiva “centinaia di questi antichi alberi”, molti dei quali hanno dai 200 agli 800 anni, su una terra adiacente a Moshav Tzippori nella bassa Galilea. L’olio d’oliva Rish Lakish prodotto dall’azienda dei Noy-Meir, ha ricevuto grandi apprezzamenti da Ronit Vered, l’autore dell’articolo e critico gastronomico di Haaretz.

Ma in che modo questi antichi alberi sono finiti nelle mani della famiglia Noy-Meir che si è stabilita a Tzippori solo 20 anni fa? Nessun contesto storico è fornito nell’articolo per spiegare l’esistenza di questi alberi, che, scrive Vered, “sono sparsi su una vasta area e si trovano su terreni di difficile coltivazione e raccolto.”

Non occorre essere un botanico per avere una risposta: Moshav Tzippori si trova sulla terra appartenente al distrutto e spopolato villaggio palestinese di Saffuriya.

Secondo Palestine Rememberd, un sito web dedicato alla conservazione della memoria degli oltre 400 villaggi palestinesi distrutti durante la Nakba, nel 1948 Saffuriya era una comunità relativamente grande, con oltre 5.000 abitanti. L’area intorno al villaggio, secondo il libro di Walid Khalidi, “All That Remains“, era “ben dotata di terreno fertile e di risorse idriche superficiali e sotterranee”, e le olive erano il “raccolto principale” del villaggio.

Saffuriya fu conquistata dall’esercito israeliano il 15 luglio 1948. Secondo gli abitanti del villaggio, solo un piccolo numero di persone vi rimase dopo che questo fu bombardato dagli aerei dell’esercito israeliano e pochissimi poterono ritornare e rientrare in possesso delle loro proprietà.

Nel suo libro “The Birth of the Palestinian Refugee Problem”, che ha portato alla luce archivi di stato israeliani precedentemente occultati (e che Khalidi cita), lo storico israeliano Benny Morris scrive che gli abitanti di Saffuriya furono espulsi nel 1948, ma che “in centinaia si infiltrarono di nuovo” nei mesi seguenti.

A detta di Morris, le autorità israeliane temevano che, se ai Palestinesi di ritorno fosse stato consentito di restare, il villaggio sarebbe “presto tornato alla popolazione che c’era prima della guerra.” A quel punto, i vicini insediamenti ebraici avevano già “messo gli occhi sulle terre di Saffuriya.”

Secondo Morris, nel novembre 1948 un alto funzionario israeliano affermò: “Vicino a Nazareth c’è un villaggio… le cui terre, seppur lontane, sono necessarie per le nostre colonie. Forse si può dare agli abitanti un altro luogo dove vivere.” Poco dopo, “nel gennaio del 1949 gli abitanti furono caricati su dei camion e nuovamente espulsi nelle comunità arabe di ‘Illut, al-Rayna e Kafr Kanna.”

In breve, le “centinaia di antichi alberi d’ulivo” non sono cresciuti dal nulla. I residenti palestinesi di Saffuriya li piantarono e coltivarono per secoli. Gli alberi furono rubati loro con la forza. Lo Stato ha affittato questi alberi dopo aver reclamato la terra del villaggio come sua proprietà. Alcuni di quei terreni sono ora parte di una riserva boschiva piantata dal Jewish National Fund.

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Raccolta delle olive a Tzippori. (Yossi Zamir/Flash90)

A loro onore, la famiglia Noy-Meir è stata coinvolta nell’aiuto ai raccoglitori palestinesi di olive in Cisgiordania e lavora a fianco dei Palestinesi le cui famiglie sono state sradicate da Saffuriya. Comunque, ignorare la storia del villaggio, come ha fatto l’articolo di Haaretz, non è peggio che ignorare la terra rubata sulla quale Meshek Achiya produce il suo olio d’oliva in Cisgiordania.

Taha Muhammad Ali, il famoso poeta palestinese, è nato ed è stato espulso da Saffuriya. La famiglia di Mohammad Barakeh, il politico a capo dell’High Follow-Up Committee per i cittadini arabi di Israele, era originaria del villaggio. Saffuriya sarà anche sparita, ma la sua memoria vive.

Io faccio parte di un movimento israelo-palestinese, Two States, One Homeland, che propone che ogni Palestinese o Ebreo Israeliano possa vivere dove vuole tra il fiume e il mare, sia nello Stato di Israele che nello Stato di Palestina. I rifugiati che ritornano saranno cittadini della Palestina, ma potranno vivere come residenti con pieni diritti in Israele, così come i cittadini israeliani potranno vivere come residenti con pieni diritti in Palestina. Una confederazione rappresenterebbe un meccanismo per facilitare il ritorno e/o offrire una compensazione finanziaria per le proprietà espropriate durante il conflitto.

Non abbiamo un futuro in questa terra se chiudiamo gli occhi sul quel che accadde nel 1948, pensando che il conflitto sia iniziato solo con l’occupazione del 1967. Non è così.

Meron Rapoport, redattore di Local Call.

https://www.972mag.com/olive-oil-trees-nakba-1948/

Traduzione di Elisabetta Valento – Assopace Palestina

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