da Zeitun, LUGLIO 27, 2019
Dall’inviato di MEE – Wadi Al-Joz
Mercoledì 24 luglio 2019 – Middle East Eye
Secondo gli abitanti e i loro avvocati, i funzionari dell’ufficio del ministero degli Interni israeliano ritardano deliberatamente le pratiche per rendere la vita dei palestinesi insopportabile al punto tale da spingerli a lasciare Gerusalemme
Il quartiere di Wadi al-Joz (“valle delle Noci”) a Gerusalemme est occupata ospita un ufficio dell’autorità del ministero degli Interni israeliano che si occupa della popolazione e dell’immigrazione.
Registrare una nascita o un decesso? Chiedere un passaporto o una carta d’identità? È il solo luogo che offre questi servizi a circa 300.000 abitanti palestinesi di Gerusalemme est.
Nella maggior parte dei Paesi questi servizi di base sarebbero forniti senza problemi – o almeno non troppi. Ma per i palestinesi di Gerusalemme est ottenere dei servizi essenziali è una dura lotta.
Secondo gli abitanti e i loro avvocati i funzionari israeliani dell’ufficio ritardano deliberatamente le cose per rendere la vita dei palestinesi insopportabile al punto tale da spingerli a lasciare Gerusalemme.
“È l’inferno. È proprio l’inferno”, confessa Erez Wagner, coordinatore di “HaMoked: Center for the Defence of the Individual” [Centro per la Difesa dell’Individuo], un’organizzazione di Gerusalemme che all’inizio di quest’anno si è presentata davanti alla Corte Suprema israeliana per cercare di migliorare delle condizioni che giudica “disumane”.
Il tribunale ha stabilito che gli uffici del ministero a Gerusalemme ovest dovrebbero fornire alcuni servizi ai palestinesi di Gerusalemme est; tuttavia, spiega, anche questa concessione non ha provocato che pochi cambiamenti concreti sul terreno.
Le sfide che gli abitanti devono affrontare nell’ufficio non sono che una tessera del più vasto mosaico dell’occupazione israeliana che da decenni fa della vita dei palestinesi a Gerusalemme est un incubo burocratico.
A causa dell’occupazione israeliana, in atto dal 1967, ogni palestinese nato a Gerusalemme est non beneficia che dello status di residente temporaneo, il che fa sostanzialmente di lui un apolide.
Eppure persino restare aggrappati a questo status temporaneo rappresenta una sfida. Tra gli altri ostacoli giuridici, i palestinesi di Gerusalemme devono provare in continuazione che la città è il “centro della loro vita”, presentando decine di documenti, soprattutto contratti di affitto, buste paga, bollette dell’elettricità e dell’acqua, ma anche versando delle imposte.
I bambini devono essere registrati come abitanti di Gerusalemme est per poter frequentare le scuole locali e beneficiare di un’assicurazione sanitaria, mentre i matrimoni devono essere registrati perché le coppie possano vivere insieme a Gerusalemme est.
Tutti questi servizi sono disponibili unicamente nell’ufficio, il che pone i palestinesi decisi a restare a Gerusalemme est di fronte a una scelta difficile: assumere un avvocato o fare la coda.
Umiliazione
Sotto a un torrido sole o alla pioggia battente, a Wadi al-Joz lunghe code di persone di ogni età, tra cui neonati, anziani e disabili, si snodano regolarmente davanti alle porte dell’ufficio del ministero.
Non è previsto niente per fare ombra e non c’è a disposizione nessun posto a sedere o gabinetto. Molti preferiscono andarci prima dell’alba per prendere posto nella coda, e non è raro vedere persone che svengono. Secondo HaMoked, persone malate che non possono rimanere in piedi per ore rinunciano a servizi essenziali.
Ma, spiega Fida Abbasi, che vive nel quartiere di Silwan a Gerusalemme est, le ore d’attesa, spesso passate vicino a guardie che tendono a umiliare quelli che fanno la coda, non sono che la punta dell’iceberg.
Una volta all’interno [dell’ufficio], i palestinesi devono poi attraversare porte metalliche dove uomini e donne vengono separati. In seguito le guardie israeliane li chiamano uno alla volta per passare sotto al metal detector e sottoporli a una minuziosa perquisizione delle borse. Se una persona ha una bottiglia d’acqua, ne deve bere un sorso davanti alle guardie.
“È come una base militare. Non si può fare nessuna foto e a volte le guardie confiscano la nostra bottiglia d’acqua o altri oggetti”, dice Fida Abbasi a Middle East Eye.
Nel 2018 il governo israeliano ha lanciato un’applicazione telefonica in ebraico e ha obbligato i palestinesi a usare questa procedura per prendere appuntamento per ottenere ogni tipo di servizio al ministero.
Ma gli unici appuntamenti disponibili sono proposti in un periodo di tempo da sei mesi a un anno, spiegano gli abitanti a MEE. Nel contempo, quelli che cercano di entrare senza appuntamento sono bloccati dalle guardie alle porte d’ingresso.
Nell’agosto 2018 sono stati arrestati quattro impiegati dell’ufficio di Wadi al-Joz sospettati di aver intascato varie centinaia di migliaia di shekel [unità di moneta israeliana, ndtr.] in cambio di tempi di attesa più corti. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, gli investigatori hanno scoperto che gli impiegati avevano prenotato centinaia di appuntamenti e li avevano venduti a parecchie centinaia di shekel l’uno.
Nell’impossibilità di ottenere un appuntamento in tempo utile o di utilizzare l’applicazione per l’incapacità di capire l’ebraico, numerosi palestinesi fanno ricorso a un’assistenza giuridica e pagano fino a 500 dollari per essere assistiti per il semplice fatto di prendere un appuntamento o compilare dei moduli.
Quelli che hanno i mezzi per incaricare un avvocato pagano circa 5.000 dollari per recuperare il proprio status di residenti e circa 10.000 dollari per registrare vari bambini.
Una lotta infinita
Per quelli che non possono pagare a Gerusalemme est occupata esistono delle organizzazioni come il “Community Action Center” [Centro per l’Azione Comunitaria], che offrono aiuto giuridico gratuito ai palestinesi.
Mohammad al-Shihabi, che dirige il centro, può elencare innumerevoli esempi di persone venute a cercare aiuto per delle pratiche burocratiche israeliane rese intenzionalmente difficili.
Spiega che la maggior parte dei casi riguarda la registrazione di bambini e “ricongiungimenti familiari”, una pratica imposta da Israele ai palestinesi di Gerusalemme est che sposano una persona palestinese della Cisgiordania o di un’altra nazionalità.
Sostiene che all’ufficio del ministero dell’Interno a Wadi al-Joz i palestinesi sono sottoposti a un esame minuzioso, sono interrogati come se fossero di fronte ad agenti dei servizi di intelligence e sono vittime di un trattamento autocratico.
Due persone titolari dello status di residenti a Gerusalemme aiutate da Mohammed al-Shihabi hanno avuto un bambino in Cisgiordania per ragioni indipendenti dalla loro volontà; tuttavia i funzionari del ministero hanno respinto la richiesta di registrazione del bambino presentata dalla coppia. La loro risposta alla madre in lacrime è stata la seguente: “Chi è responsabile di questo errore merita il peggio.”
Cita anche l’esempio di una donna di Gerusalemme est che fino al loro divorzio nel 1994 ha vissuto a Gaza con suo marito gazawi. Quando è tornata a Gerusalemme con uno dei suoi figli, i funzionari israeliani si sono rifiutati di concederle il diritto di residenza perché aveva vissuto a Gaza.
Ora vive in città senza carta d’identità né conto bancario né assistenza sanitaria, nonostante sia proprietaria di due alloggi a Gerusalemme e vi abbia vissuto senza interruzione per 25 anni.
MEE ha cercato di intervistare parecchi palestinesi che vivono a Gerusalemme est in merito alle loro difficoltà con il ministero degli Interni, ma sono stati molti quelli che hanno rifiutato per timore di rappresaglie.
Il ministero degli Interni in cifre
Rami Saleh, responsabile del “Jerusalem Legal Aid and Human Rights Center” [Centro per l’Aiuto Giuridico e i Diritti Umani di Gerusalemme], riferisce che, secondo le cifre che gli sono state fornite dal ministero, tra il 2013 e il 2018 su un totale di 9.966 richieste di dichiarazioni di nascita presentate all’ufficio di Wadi al-Joz ne sono state approvate 7.236.
Le altre, gli è stato spiegato, sono ancora all’esame. E su un totale di 3.236 richieste di ricongiungimento familiare, solo 1.534 sono state approvate. Saleh si è rivolto al ministero per chiedere perché un solo ufficio serva parecchie centinaia di migliaia di palestinesi, mentre i residenti israeliani di Gerusalemme possono recarsi in un qualunque ufficio del Paese e ricevere rapidamente il servizio.
Gli è stato risposto che gli impiegati dell’ufficio del ministero a Wadi al-Joz sono più abituati ad avere rapporti con i residenti temporanei.
All’inizio di quest’anno le autorità israeliane hanno aperto un altro ufficio del ministero al check point militare di Qalandia, che separa Gerusalemme dalla città di Ramallah, in Cisgiordania. Tuttavia i servizi forniti sono ridotti e sono a disposizione solo in giorni e orari specifici.
Una portavoce del ministero degli Interni israeliano ha dichiarato a MEE che sono al corrente dei problemi dell’ufficio di Wadi al-Joz e che nel corso degli ultimi due anni hanno cercato di migliorare la situazione, soprattutto fornendo servizi all’ufficio di Qalandia e autorizzando la prenotazione di appuntamenti attraverso l’applicazione che, ha precisato, fornisce le opzioni di appuntamento entro un lasso di tempo di qualche settimana e non di parecchi mesi.
Ha aggiunto che il ministero stava pensando di aprire un altro ufficio a Gerusalemme est. “Ci preoccupiamo davvero di questo problema e lavoriamo per trovare delle soluzioni perché gli abitanti di Gerusalemme est possano beneficiare di un servizio migliore, più rapido”, ha affermato la portavoce in un’e-mail.
Tuttavia Erez Wagner, l’avvocato di HaMoked, dichiara che i cambiamenti apportati non hanno eliminato la maggior parte degli ostacoli contro i quali si scontrano i palestinesi di Gerusalemme est.
Sottolinea che ogni palestinese che va all’ufficio di Qalandia deve attraversare il check-point per due volte – e anche in quel caso viene fornita solo una serie limitata di servizi.
A Gerusalemme ovest, continua, dove ci sono degli uffici del ministero meno affollati e dove la Corte Suprema ha ordinato al ministero di fornire dei servizi ai palestinesi di Gerusalemme est, gli uffici non hanno ancora apportato delle modifiche sostanziali.
La maggior parte dei servizi, compresi il rinnovo dei permessi di soggiorno e le dichiarazioni di nascita, non viene fornita, gli impiegati non parlano arabo e molti di loro, ignorando l’ordine del tribunale, finiscono per rispedire i palestinesi all’ufficio di Wadi al-Joz.
Il fatto che, nonostante i tentativi del tribunale, non sia cambiato niente sul terreno non stupisce Rami Saleh.
“Non sorprende che rifiutino le richieste che cercano di migliorare le condizioni di vita dei palestinesi,” dichiara.
“Abbiamo a che fare con un’entità colonialista che cerca di stremare gli abitanti palestinesi di Gerusalemme e non di allentare le restrizioni che sono loro imposte.”
(traduzione di Amedeo Rossi)