Nel 2015, scatenando un putiferio, Netanyahu sostenne che un leader palestinese di primo piano “svolse un importante ruolo” nel piano di Hitler di annientare gli Ebrei, ma il Prof. Mustafa Abassi dice che i Palestinesi non stavano “affatto” cercando di aiutare i Nazisti.
di Ofer Aderet
Haaretz, 31 maggio 2019
Nel 2015 il Primo Ministro Benjamin Netanyahu suscitò un putiferio quando affermò che il Muftì Haj Amin al-Husseini era colui che aveva incoraggiato Hitler ad annientare gli Ebrei. Sulla scia delle critiche suscitate, Netanyahu disse che la sua intenzione non era quella di assolvere Hitler dalla responsabilità per l’Olocausto, ma che intendeva solo dire che “il Muftì giocò un ruolo importante nella Soluzione Finale.”
Ma c’era un altro aspetto della storia che Netanyahu, figlio di uno storico, aveva evitato di ricordare, e cioè il ruolo, ormai dimenticato, che ebbero quelle migliaia di Palestinesi che non ascoltarono l’appello del Muftì di Gerusalemme di schierarsi con i paesi dell’Asse, e che invece presero le armi per combattere i Nazisti, spesso fianco a fianco con giovani Ebrei della Palestina mandataria.
Il Prof. Mustafa Abbasi, uno storico del Tel Hai Academic College, ha speso anni a rintracciare la loro storia. Avendo recentemente pubblicato un articolo accademico sull’argomento, ha suggerito questa settimana una narrazione opposta a quella proposta da Netanyahu. Il Primo Ministro aveva cercato di dipingere i Palestinesi come sostenitori del Terzo Reich, ma Abbasi sostiene che “Il Muftì non trovò nei Palestinesi un uditorio ricettivo per il suo appello a sostegno dei Nazisti. Tutt’altro”.
L’oggetto della ricerca di Abbasi è inusuale. Molti studi sono stati pubblicati sui volontari Ebrei nella guerra contro i Nazisti, che raggiunse il suo acme con la formazione della Brigata Ebraica. Ma “le migliaia di volontari arabi sono raramente menzionati e le testimonianze sono spesso distorte,” dice Abbasi.
In un articolo sull’ultimo numero del periodico Cathedra (“Palestinians Fighting the Nazis: The Story of Palestinian Volunteers in World War II”), spiega perché questi combattenti palestinesi sono stati lasciati fuori dai libri di storia.
Da un lato, gli storici sionisti hanno messo naturalmente l’enfasi sul ruolo avuto dai volontari Ebrei nella lotta contro i Nazisti. Dall’altro lato, i loro omologhi palestinesi si sono focalizzati sulla lotta contro l’egemonia britannica e non avevano molta voglia di glorificare i nomi di coloro che avevano collaborato con i Britannici, pochi anni dopo che questi ultimi avevano soppresso la Rivolta Araba del 1936-1939, aiutando così indirettamente gli Ebrei a creare uno stato.
“Così, nessuna delle due parti ha voluto mettere in evidenza questo argomento,” dice il Prof. Abbasi. “Ma io credo che il lavoro dello storico sia quello di essere fedele alle fonti e tentare di descrivere la storia così come era, senza essere ostaggio di alcuna narrazione nazionale che potrebbe limitarlo e impedirgli di scrivere la storia liberamente.”
C’è da chiedersi perché non sia mai stata creata un’organizzazione per commemorare le azioni di questi volontari palestinesi. “Molti di loro furono uccisi e molti altri risultano ancora dispersi. Ma nessuna raccolta di memorie è stata mai creata per loro,” dice Abbasi. In realtà, la documentazione sui volontari palestinesi, insieme a molti loro documenti e archivi personali, è scomparsa, in gran parte durante la Guerra d’Indipendenza.
Negli ultimi anni, Abbasi ha ritrovato la loro storia sui quotidiani palestinesi dell’epoca del Mandato, in memorie o diari personali, e attraverso interviste da lui fatte ad alcuni degli ultimi volontari ancora in vita. Ha inoltre raccolto materiale in vari archivi britannici, nell’Archivio Sionista, negli archivi dell’Haganah e dell’esercito israeliano (IDF).
Abbasi stima che circa 12.000 giovani Palestinesi si arruolarono nell’Esercito Britannico durante la Seconda Guerra Mondiale. Varie centinaia furono fatti prigionieri, molti altri (l’esatto numero è sconosciuto) furono uccisi. “Confrontato con altre nazionalità, questo non è un numero insignificante”, dice Abbasi, e mette in evidenza che, a differenza di altri gruppi, i Palestinesi si arruolarono volontari nell’Esercito Britannico sin dalle prime fasi della guerra.
All’inizio i volontari palestinesi ed ebrei servirono in unità miste. “Furono addestrati e fecero esercitazioni nelle stesse basi e in molte occasioni combatterono fianco a fianco, e furono anche imprigionati insieme”, dice Abbasi. E, come riportato qui due anni fa, la vicinanza dei combattenti ebrei e palestinesi ha prodotto a volte risultati insoliti, come nel caso di Shehab Hadjaj, un Palestinese arruolato nell’Esercito Britannico, imprigionato in Germania e morto nel 1943. Tuttora è elencato sul Monte Herzl quale “vittima nelle guerre d’Israele” perché qualcuno, tratto in errore dal suo cognome, ha pensato che fosse Ebreo.
“I rapporti tra i combattenti erano generalmente buoni, e se ci fu qualche frizione questa era principalmente dovuta alle condizioni di servizio, quali posta e cibo,” dice Abbasi. Comunque, ci furono di sicuro anche differenze cruciali fra i due gruppi. Per esempio, mentre gli Ebrei erano uniti nel loro scopo di combattere i Nazisti per promuovere l’istituzione dello Stato Ebraico, i Palestinesi “non avevano un chiaro programma nazionale,” scrive Abbasi. Per questa ragione, a differenza degli Ebrei, non cercarono di formare unità palestinesi separate e non ci fu alcuna “Brigata Palestinese” parallela alla Brigata Ebraica nella quale servirono migliaia di Ebrei della Palestina mandataria.
Chi erano quindi i Palestinesi che si arruolarono volontari nell’Esercito Britannico per combattere i Nazisti? Abbasi dice che probabilmente venivano dall’élite palestinese e che, al contrario di quanto molti pensano, rappresentavano “una parte importante e centrale della società palestinese”. Una parte che credeva fosse necessario stare in quel momento dalla parte dei Britannici, e che temporaneamente metteva da parte le aspirazioni nazionali palestinesi, un atteggiamento analogo all’idea ebraica di “combattere Hitler come se non ci fosse alcun Libro Bianco [un’ordinanza britannica odiosa agli Ebrei perché limitava il loro accesso in Palestina, NdT], e combattere il Libro Bianco come se non ci fosse nessun Hitler.”
Questi Palestinesi si arruolarono in un momento in cui il Muftì di Gerusalemme aveva lasciato la Palestina per l’esilio nei paesi Arabi e in Europa, dove incontrò Hitler e si congratulò con i volontari Musulmani della Legione Araba Libera, un’unità araba costituita nell’esercito della Germania Nazista. “Lasciò la Palestina per un decennio nel 1937. Che tipo di leader è uno che abbandona il suo popolo in un momento simile?” si chiede Abbasi. “Non aveva alcuna influenza sull’opinione pubblica. Era distaccato e la gente si era già stancata di lui e dei suoi metodi. Non era visto come un leader,” dice. “Chiunque dica diversamente distorce la storia”, aggiunge in una non tanto sottile frecciata a certi politici.
Nella sua ricerca, ha documentato conferenze di propaganda filo-britannica che furono tenute a partire dal 1940 a Abu Dis (vicino a Gerusalemme), a Jenin, in villaggi dell’area di Nablus, a Tul Karm e a Lod. Tra i sostenitori della lotta britannica contro i Nazisti c’erano i sindaci di Nablus e Gaza. Radio Palestina trasmise i commenti di uno scrittore egiziano che diceva, “La guerra si combatte tra i valori elevati e umani rappresentati dall’Inghilterra e le forze dell’oscurità rappresentate dai Nazisti.”
Le motivazioni dei volontari furono varie. “Alcuni lo fecero per ragioni ideologiche, per opposizione all’ideologia nazista e per lealtà ai Britannici e ai valori che essi rappresentavano”, dice Abbasi. Questa motivazione era comune tra l’alta borghesia e i volontari palestinesi di istruzione elevata provenienti da ambienti urbani. I Palestinesi rurali erano motivati in gran parte da ragioni economiche. “E c’era anche chi cercava l’avventura e voleva avere la possibilità di viaggiare all’estero,” dice.
Abbasi ha scoperto che anche alcune donne palestinesi si offrirono volontarie per combattere i Nazisti. Quasi 120 giovani donne prestarono servizio nell’Auxiliary Territorial Service, il ramo femminile dell’Esercito Britannico, accanto a donne ebree. Un manifesto di reclutamento britannico in arabo, pubblicato sul quotidiano Falastin nel gennaio 1942, recitava: “Ella non riusciva a smettere di pensare al suo contributo e al suo sacrificio, sentiva orgoglio ed esaltazione dello spirito quando faceva quel che vedeva come suo sacro dovere per la sua nazione e per i suoi figli. Quando il vostro Paese vi chiama a gran voce chiedendo il vostro servizio, quando il vostro Paese dice chiaramente che i nostri uomini arabi hanno bisogno del vostro amore e sostegno, e quando il vostro Paese vi ricorda quanto crudele sia il nemico – quando il vostro Paese vi chiama, potete voi restare in attesa e non fare nulla?”
Abbasi è il solo ricercatore nella società palestinese che studia questo settore, che è stato anche oggetto di un articolo del 2015 di Dalia Karpel sul quotidiano Haaretz. Abbasi ha fatto tutto ciò grazie a suo nonno materno, Sa’id Abbasi, che fu uno dei volontari nell’Esercito Britannico durante la guerra. “In famiglia non se ne parlava, sino al giorno in cui chiesi a mia nonna perché c’era così tanta differenza di età tra i suoi figli. La sua risposta fu: ‘Non ricordarmi del tempo in cui tuo nonno mi lasciò per molti anni’”. Abbasi decise di saperne di più su quel periodo e venne così a conoscere che la storia della sua famiglia era parte della storia del suo popolo.
Spera che in futuro il materiale originale da lui raccolto sarà sviluppato in un volume che, per la prima volta, narrerà l’ottimistica storia di un raro momento storico in cui Ebrei e Palestinesi unirono le loro forze per un nobile obiettivo comune.
https://www.haaretz.com/misc/writers/WRITER-1.4968501
Traduzione di Elisabetta Valento