Fintanto che la vita a Gaza sarà scandita dai droni, dai mortai e dai cecchini israeliani, la nostra crudeltà continuerà a distruggere non solo le loro vite, ma anche le nostre anime.
di Hagai El-Ad
Haaretz, 11 marzo 2019
Quattro anni e mezzo dopo l’operazione “Margine di protezione” contro Gaza, nell’episodio finale della serie televisiva “Muna”, il personaggio di Rani si rivolge a Yaniv con queste parole, tragicamente accurate: “Tu non sei mai andato davvero là. E non ne sei mai davvero partito. Sei lì. Tu sei lì e Gaza è qui. Come i tuoi fantasmi. Tutti i nostri fantasmi. Di fatto, non è mai iniziata e non è mai finita. Un ciclo infinito. Non ne possiamo più”
Quell’estate a Gaza, abbiamo ucciso più di 500 dei loro bambini, grazie ai nostri missili, alle bombe intelligenti e all’artiglieria stupida. Dopo di questo, fino a che punto accetteremo l’orrore? I fantasmi di Ranim al-Ghafoor, 1 anno, e di Muhammad al-Nawasrah, 2 anni, entrambi uccisi il 9 luglio 2014 in attacchi dal cielo, appena al secondo giorno dell'”operazione”, fluttuano ai margini delle nostre coscienze. Là, così come qua.
Il 13 luglio Yamen al-Hamidi – 4 anni – è rimasto ferito in un altro attacco; morirà una settimana dopo. Il 20 luglio invece, in un unico bombardamento su Bani Suheila, siamo riusciti a uccidere 18 bambini della stessa famiglia allargata, la famiglia Abu Jama. Il fantasma della più piccola di loro – Nujud, 5 mesi appena al momento della sua morte– non vuole andarsene.
Questa vergogna non può essere sepolta, non può essere dirottata altrove. Non è mai realmente iniziata, non è mai realmente finita. Non ne possiamo più.
Gli Israeliani non vogliono sapere di Gaza. Certamente non vogliono assumersi la colpa per Gaza. In fondo ce ne siamo andati, no? Anche il nostro governo non fa altro che ripetere in ogni occasione possibile che è colpa di Hamas, specie aldilà dei nostri confini. Peccato che non sia altro che propaganda da quattro soldi, lo stesso Rani ci ricorda che non ce ne siamo mai andati realmente. Oltre dieci anni dopo il nostro “disimpegno”, continuiamo a occuparci del registro della loro popolazione.
E così anche i nomi dei bambini della famiglia a-Rifi, tutti vittime dello stesso attacco del 21 agosto, sono stati cancellati dai registri anagrafici dalle mani esperte di un impiegato israeliano. Sei nomi: Ahmed – 3 anni, Maram – 7 e Omar – 9 anni, sono stati uccisi il giorno stesso dell’attacco; Abdallah, di 5 anni, è sopravvissuto altri 6 giorni; Ziad – 9 anni, è morto per le ferite 5 giorni dopo e infine Mohammad ha resistito 4 anni, tetraplegico e attaccato a un respiratore, per morire solo pochi mesi fa, il 3 novembre 2018: un ragazzino di 13 anni che per più di un terzo della sua vita è stato prigioniero del suo stesso corpo, incapace persino di respirare da solo. I fantasmi dei bambini della famiglia a-Rifi, ciascuno nel proprio macabro anniversario, avranno certamente turbato i sonni dell’impiegato israeliano che si occupa del registro della popolazione.
Il nostro Primo Ministro Benjamin Netanyahu è orgoglioso del suo inglese impeccabile e della sua maestria dialettica nel rappresentare e difendere Israele a livello internazionale. Nel settembre del 2014, di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Netanyahu ha affermato – nel suo magnifico inglese: “Nessun altro paese e nessun altro esercito nella storia ha mai fatto sforzi maggiori per evitare vittime tra la popolazione civile dei propri nemici”. Il 18 settembre, appena undici giorni prima del suo discorso, Sama al’Ajuz – 2 anni, è morta in un ospedale in Giordania, per le ferite inflitte dal fuoco di un carro armato due mesi prima, il 20 luglio. Netanyahu non ha nominato direttamente la piccola Sama eppure il suo fantasma aleggiava lì intorno, specie mentre pronunciava la parola “enemies” – nemici – in quell’inglese di cui va così fiero.
Da allora sono passati quattro anni e mezzo. Tutta la vergogna che non siamo riusciti a seppellire aleggia nel nostro subconscio per poi emergere in forme assolutamente imprevedibili: se non come senso di colpa, magari strumentalizzata per fini politici. I fantasmi si levano sopra Gaza all’alba delle elezioni politiche in Israele; l’allora capo di stato maggiore per le operazioni militari oggi scende in campo come candidato primo ministro per riportare “autorevolezza” allo stato di Israele e fa campagna contando i corpi, quanti più possibile, e mostrando le immagini della distruzione a Gaza vista attraverso i freddi occhi dei droni. Se questo è il modo in cui conduce la sua campagna, cosa dovremmo aspettarci dalla sua politica militare in un futuro stato più “autorevole”?
Pochi giorni fa, il 30 marzo, ricorreva un anno esatto dall’inizio della manifestazioni del venerdì per la Grande Marcia del Ritorno, lungo i confini della Striscia. Naturalmente Israele non ha schierato i suoi cecchini all’interno di Gaza, i tiratori sparavano da dietro terrapieni posti in territorio israeliano. E così, in una lenta emorragia – un ciclo infinito – abbiamo aggiornato i registri con altri 6300 feriti e aggiunto 200 nuovi fantasmi. In alcuni momenti l’emorragia non è stata neppure così lenta: nel solo giorno in cui gli Stati Uniti hanno aperto la propria ambasciata a Gerusalemme – 14 maggio 2018 – sono state uccise 73 persone. La vittima più giovane si chiamava Az-Adin Asamak, aveva 13 anni, la maggior parte dei quali trascorsi a Gaza, in una città sotto assedio.
I bambini nati a Gaza all’inizio dell’embargo israeliano oggi festeggiano il loro undicesimo compleanno, a patto naturalmente che siano riusciti a sopravvivere alle operazioni Piombo Fuso (dicembre 2008), Pilastro di Difesa (novembre 2012) e Margine di Protezione (luglio 2014). Che futuro potranno mai aspettarsi questi bambini e le loro famiglie? Ci sono due milioni di persone prigioniere in una striscia di terra sovrappopolata e sotto assedio perenne, dove l’elettricità arriva a stento e l’acqua è inquinata; a Gaza non sono solo le bombe a uccidere i bambini, ma anche la mancanza di acqua potabile. Veramente, singhiozzano le nonne, che futuro ci aspetta?
Questi fantasmi che non concedono tregua alle nostre anime ci devono ricordare in ogni istante delle nostre vite così piene di impegni che questa è una questione di vita o di morte. Fintanto che la vita a Gaza sarà scandita dai droni, dai mortai e dai cecchini, la nostra crudeltà continuerà a distruggere non solo le loro vite, ma anche le nostre anime. Ma due milioni di vite non possono essere tenute in ostaggio per sempre. La sola strada che può portarci fuori da questo ciclo infinito di violenza è quella della giustizia, della libertà, dei diritti e dell’uguaglianza. Altrimenti, come disse Rani a Yaniv, questo ciclo non avrà mai fine.
Hagai El-Ad, direttore di B’Tselem.
https://www.haaretz.com/opinion/little-ghosts-from-gaza-1.7005270
Traduzione di Matteo Cesari