Un report confidenziale, basato su venti anni di monitoraggio, afferma che nella città di Hebron Israele sta sistematicamente violando il diritto internazionale.

La missione internazionale di monitoraggio, riconosciuta anche da Israele, contesta ai coloni la proprietà della terra, critica le restrizioni alla libertà di movimento e di culto ed afferma che è impossibile condurre una “vita normale” nella città cisgiordana.

Uri Blau

Haaretz, 17 dicembre 2018

Osservatori del TIPH passano davanti a un uomo palestinese nella città di Hebron. Tess Scheflan

Una missione di osservatori internazionali, che fu istituita venti anni fa nella città occupata di Hebron, ha prodotto uno dei rapporti interni più esaurienti ed accusatori nei confronti della politica israeliana nella città: questo è quanto riferiscono persone che hanno avuto modo di accedere al dossier e di parlare poi con Haaretz a condizione di restare anonimi. Questa è la prima volta che un rapporto del TIPH (Temporary International Presence in Hebron) viene rivelato sulla stampa.

Il dossier confidenziale del TIPH, a lungo considerato un ente senza efficacia da parte dei Palestinesi, riporta numerose violazioni del diritto internazionale da parte di Israele e sembra confermare il fatto che la città è lacerata da un’occupazione sia militare che civile. A venti anni dall’istituzione di una missione che avrebbe dovuto conferire un senso di sicurezza ed assicurare il benessere dei Palestinesi, il rapporto avverte che la città è più divisa che mai a causa delle politiche del governo israeliano e delle azioni dei coloni.

Secondo il documento, Israele è colpevole di “violare sistematicamente e in maniera grave” il diritto di non discriminazione e l’obbligo di proteggere la popolazione che vive sotto occupazione dal rischio di deportazione. L’insediamento israeliano nella città di Hebron è una violazione del diritto internazionale e i “coloni estremisti” rendono la vita dei Palestinesi molto difficile nella parte della città controllata da Israele (nota come zona H2).

La missione TIPH fu istituita nel 1997 come parte del Protocollo di Hebron previsto dagli Accordi di Oslo, che autorizzava il parziale ridispiegamento militare delle forze israeliane nella parte della città di cui avevano il controllo. La missione fu successivamente ampliata grazie al Memorandum di Wye River firmato nel 1998 da Benjamin Netanyahu, all’epoca primo ministro per la prima volta, e dal leader palestinese Yasser Arafat. Alcune delle persone con cui Haaretz ha parlato per questo articolo hanno espresso il timore che la pubblicazione del rapporto possa spingere Israele a rifiutarsi di rinnovare il mandato del TIPH nella città, come deve avvenire ogni sei mesi.

Durante una visita a Parigi in novembre, Netanyahu ha affermato che a dicembre avrebbe deciso “in merito al rinnovo del mandato del TIPH”. A tal proposito il premier ha subito molte pressioni da parte della destra affinché sia revocato il mandato degli osservatori.

Negli ultimi mesi, la missione del TIPH è stata al centro di polemiche per due incidenti che hanno coinvolto gli osservatori del gruppo: nel primo, uno dei dipendenti del TIPH fu filmato, secondo la polizia, mentre perforava le gomme di un’auto appartenente ad un colono, mentre l’altro ha visto protagonista un osservatore svizzero che è stato deportato da Israele per aver schiaffeggiato, a quanto pare, un giovane colono. In seguito a questi episodi, in luglio Netanyahu ha convocato il capo della missione per una riunione.

Il rapporto di quasi cento pagine era stato commissionato in occasione del ventesimo anniversario della missione. Una precedente missione internazionale era stata formata dopo che nel febbraio 1994 Baruch Goldsteind aveva assassinato 29 fedeli musulmani nella Tomba dei Patriarchi della città. Attualmente la missione consta di 64 operatori internazionali provenienti da cinque nazioni che finanziano la loro presenza: Italia, Norvegia, Svezia, Svizzera e Turchia, dopo il ritiro della Danimarca. La missione sottopone i suoi rapporti solamente ai rispettivi paesi d’origine e alle autorità palestinesi ed israeliane, senza renderli pubblici.

Il TIPH ha una reputazione controversa. Ad Hebron lo chiamano ironicamente “ Tutti gli impotenti che Pattugliano Hebron” giocando con le iniziali della missione. Tuttavia, nonostante abbia un potere limitato, il TIPH ha sicuramente una reputazione migliore di tante altre organizzazioni internazionali che operano nell’area. Le organizzazioni no-profit e per la difesa dei diritti umani che operano nella zona sono spesso accusate dalle autorità israeliane di essere anti-israeliane o di sinistra. Il TIPH è diverso: i membri della missione si incontrano periodicamente con le forze di difesa israeliane e con i funzionari dell’amministrazione civile israeliana; possono muoversi liberamente in una città nota per le sue restrizioni alla mobilità; ma, soprattutto, il gruppo ha operato ad Hebron per più di vent’anni con l’autorizzazione israeliana.

Un altro degli obiettivi della missione è quello di aiutare la promozione e la realizzazione di progetti finanziati dai paesi donatori e di incoraggiare la crescita e lo sviluppo economico della città.

“Dure e sistematiche”

Alla fine del 2017, il TIPH ha realizzato uno dei lavori più significativi dalla sua istituzione: un rapporto che include i suoi venti anni di monitoraggio e che punta i riflettori sui problemi e sulle tendenze identificate dal gruppo.

Il dossier si basa, fra l’altro, su più di 40.000 “rapporti di incidenti” compilati dagli osservatori TIPH nel corso degli anni e giunge alla conclusione che la città si sta muovendo nella direzione opposta da quella auspicata da Israele e dall’OLP nel Protocollo di Hebron.

Quest’ultimo fu firmato nel 1997 e divide Hebron in due parti: H1, l’area controllata dall’Autorità Palestinese che comprende circa l’80% della città e 175.000 Palestinesi; H2, l’area controllata da Israele in cui 500/800 coloni vivono a fianco di 40.000 Palestinesi.

Secondo il dossier, Israele sta violando il diritto di non discriminazione sancito dalla Dichiarazione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, ratificato da Israele nel 1991. I Palestinesi che vivono nell’area sotto controllo israeliano (H2) non godono della libertà di movimento né di quella di culto, due evidenti violazioni dei loro diritti. Inoltre il TIPH afferma che Israele viola sistematicamente l’Articolo 49 della Convenzione di Ginevra (IV), che proibisce la deportazione delle persone protette (cioè quelle che vivono sotto occupazione e non sono cittadini del paese occupante) fuori dal territorio occupato.

Un diplomatico che ha avuto accesso al dossier ha riferito ad Haaretz che vi si legge: “questo diritto umano basilare è violato sistematicamente e in maniera sempre più grave ai danni dei Palestinesi di Hebron, soprattutto quelli che risiedono in H2, per quanto riguarda la mancata libertà di movimento e di culto.”

Il rapporto afferma che una “vita normale”, soprattutto nel centro storico di Hebron, all’interno dell’area H2 controllata da Israele, non si trova da nessuna parte, facendo riferimento al mandato del TIPH secondo il quale la missione “assiste nel monitoraggio e nell’impegno a mantenere una vita normale nella città di Hebron”. Inoltre, il vecchio mercato ortofrutticolo palestinese è diventato un’area militare israeliana, spesso occupata dai coloni ed utilizzata come parco giochi per i loro figli, come riportato nella relazione.

Il rapporto contesta anche certe rivendicazioni di proprietà dei terreni nel centro storico di Hebron da parte di coloni che dicono di rappresentare precedenti proprietari ebrei fuggiti od uccisi durante il massacro di Hebron del 1929. Secondo il rapporto, gli attuali coloni non hanno legami familiari con i precedenti proprietari, e la questione della proprietà di terre abitate od utilizzate da ebrei prima del 1929 non è ancora stata risolta chiaramente. A prescindere da tali rivendicazioni di proprietà, il TIPH afferma che la presenza di qualunque insediamento israeliano in Hebron è da considerarsi una violazione della legge internazionale.

Il rapporto riferisce anche che c’è un esodo dall’area H2 di quei Palestinesi che si possono permettere di trasferirsi nell’area H1, controllata dall’Autorità Palestinese, dove devono subire meno restrizioni. Secondo il rapporto, coloro che non possono o non vogliono lasciare l’area H2 sono costretti ad affrontare i “coloni israeliani radicali”, sostenuti dal governo israeliano e dalle fondazioni ebraiche all’estero.

Il rapporto avverte che la suddivisione delle responsabilità per la sicurezza nelle aree H1 ed H2 contrasta con il protocollo di Hebron ed ostacola lo spostamento di persone, beni e veicoli all’interno della città. Gli ostacoli e le barriere tra le due aree si sono trasformati in una fortificazione militare che consiste in numerosi sbarramenti e posti di blocco gestiti da forze di sicurezza israeliane, che controllano principalmente gli abitanti palestinesi.

Il rapporto evidenzia la situazione di Shuhada Street, probabilmente la più famosa strada di Hebron. Un tempo teatro di un florido mercato palestinese, oggi è priva di Palestinesi e tutte le saracinesche dei negozi sono abbassate. Secondo il rapporto, i Palestinesi non hanno ancora il permesso di percorrere la strada in auto né di attraversarne a piedi certe parti. Inoltre, negli ultimi 20 anni, il TIPH ha assistito all’estensione di tali restrizioni degli spostamenti dei Palestinesi lungo Shuhada Street ad altre zone dell’area H2.

Al contrario, gli automobilisti israeliani possono accedere a tutte le strade dell’area H2. Poco a poco, secondo quanto riportato, i coloni hanno avuto il permesso di costruire e di estendere le proprie attività di insediamento, anche su territori palestinesi. Il rapporto riferisce anche che la costruzione di infrastrutture e la manutenzione di strade, acquedotti e vie di accesso è stata concessa in via prioritaria ai coloni israeliani.

Il TIPH riferisce anche che un territorio nell’insediamento di Tel Rumeida, affittato da Palestinesi per più di una generazione, è stato chiuso secondo ordini militari israeliani ed utilizzato per scavi archeologici, finalizzati a dimostrare la presenza ebraica in quella zona fin dal primo secolo a.C..

Un gruppo in visita ad Hebron parla con osservatori del TIPH, 3 agosto 2009. Tess Scheflan / JINI

Allo stesso tempo, dice il rapporto del TIPH, la libertà di movimento dei Palestinesi che vivono a Tel Rumeida è stata drammaticamente ridotta. Negli anni, la zona è stata chiusa e circondata da numerosi posti di blocco, con conseguenze disastrose per i suoi abitanti palestinesi. Ad esempio, non possono ricevere visitatori che non siano registrati su una lista in possesso delle guardie dei posti di blocco. Il TIPH osserva che i Palestinesi sono spesso molestati in questi posti di blocco, e che possono trasportare cibo o altri rifornimenti nelle loro abitazioni solo a piedi. Lo studio, il lavoro ed i rapporti familiari sono molto difficili per questi cittadini.

Il TIPH testimonia anche come, nel corso degli anni, siano stati tracciati sentieri e strade all’interno di aree rurali palestinesi, per creare percorsi ad uso esclusivo di devoti ebrei diretti dall’insediamento di Kiryat Arba al centro di Hebron. Inoltre, per ampliare queste strade, sono stati demoliti antichi edifici palestinesi risalenti all’era ottomana che erano situati lungo il percorso.

Gli osservatori del TIPH sottolineano anche che i Palestinesi devono affrontare numerosi ostacoli per accedere alla Moschea di Abramo, un sito religioso importante sia per i Musulmani che per gli Ebrei (vi si trova anche la Tomba dei Patriarchi). Oggi ci sono solo due accessi al luogo sacro musulmano ed i devoti sono costretti ad oltrepassare prima diversi posti di blocco controllati da Israeliani. I devoti sono perquisiti e talvolta costretti a sollevare le proprie vesti. Il muezzin, dice il TIPH, non ha il permesso di chiamare i fedeli per la preghiera del venerdì sera e del sabato a causa dello Shabbat ebraico. Gli osservatori aggiungono che, se –in un dato venerdì del 2003– circa 1600 fedeli palestinesi frequentavano la moschea, nel 2017 quel numero si è dimezzato.

Sebbene il rapporto sia molto critico nei confronti di Israele, non contiene alcuna richiesta o proposta di provvedimenti né da parte degli Israeliani né dei Palestinesi. È stato consegnato ai ministri degli esteri dei cinque stati membri contribuenti ed è stato recentemente presentato ai diplomatici in visita ad Hebron.

Haaretz ha invitato il TIPH a commentare il rapporto e ha chiesto se fossero state prese eventuali iniziative sulla base delle sue conclusioni. Un portavoce ha risposto che il loro mandato “afferma che il TIPH assiste nel monitoraggio e nell’impegno a mantenere la vita normale nella città di Hebron, in accordo con il protocollo di Hebron e con l’accordo tra le parti. I rapporti sono regolarmente sottoposti alle autorità palestinesi ed israeliane ed ai cinque stati contribuenti. Come richiesto dalle parti, tutte le informazioni prodotte dal TIPH sono strettamente confidenziali. Il TIPH ha un dialogo regolare con entrambe le parti.”

Haaretz ha chiesto all’Ufficio del Primo Ministro un commento sul rapporto e sulle sue conclusioni, ma la richiesta è stata reindirizzata al Ministero degli Esteri, che ha risposto: “Le relazioni del TIPH non sono finalizzate alla pubblicazione. Esse sono condivise con entrambe le parti secondo l’accordo che non prevede che esse siano trasmesse ad altre parti, e di certo non ai mass media. Di conseguenza, non intendiamo commentare informazioni parziali o qualunque altra pubblicazione su questo tema.”

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Traduzione di Sonia Valentini e Rosaria Brescia

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