The New York Times, 5 gennaio 2018.
La destra israeliana, incoraggiata dal fatto che Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele, non è l’unica corrente politica a sostenere la soluzione di un unico stato tra il fiume Giordano e il Mediterraneo.
Anche l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina ha cominciato a chiedersi se questa possa non essere una idea così cattiva, sebbene abbia una visione radicalmente diversa di come dovrebbe essere questo stato.
Mentre la soluzione dei due stati perde slancio, entrambe le parti stanno riprendendo in considerazione l’idea dello stato unico. Ma questa soluzione è da tempo problematica per entrambe le parti.
Per gli Israeliani, assorbire tre milioni di Palestinesi della Cisgiordania significa o rinunciare alla democrazia o accettare la fine dello stato ebraico. Anche i Palestinesi, che non vogliono vivere in condizioni di sostanziale apartheid o di occupazione militare, vedevano la soluzione dei due stati come la loro migliore speranza.
Ora, per la prima volta da quando, nel 1988, dichiarò il suo appoggio ad uno stato palestinese accanto ad Israele, l’OLP sta seriamente discutendo se abbracciare soluzioni di ripiego, inclusa la realizzazione dell’unico stato.
“Questo sta dominando la discussione”, ha dichiarato Mustafa Barghouti, un medico membro del comitato centrale dell’OLP, che deve farsi carico di possibili mutamenti nella strategia del movimento nazionale nel corso di questo mese.
I sostenitori dei Palestinesi immaginano uno stato con eguali diritti per Palestinesi ed Ebrei. I Palestinesi avrebbero potere politico in proporzione al loro numero e, considerando i trend demografici, sarebbero entro breve tempo la maggioranza, determinando la fine del progetto sionista.
Questo risultato è inaccettabile per la destra israeliana, che sta premendo per annettere i territori della Cisgiordania occupata su cui i coloni israeliani hanno costruito colonie, relegando i Palestinesi nelle aree dove ora vivono.
Gli Israeliani che propongono lo stato unico riconoscono apertamente che le aree palestinesi sarebbero assai meno che uno stato, almeno all’inizio: il primo ministro Benjamin Netanyahu lo ha addirittura chiamato uno “stato minore”. In futuro, dicono, i Palestinesi potrebbero ottenere una statualità in una confederazione con la Giordania o l’Egitto, come parte di Israele, o forse addirittura in modo indipendente, ma non a breve.
Entrambe le parti hanno ufficialmente sostenuto a lungo l’idea dei due stati come soluzione al conflitto, contemporaneamente accusando l’altra parte di covare piani sull’intero territorio. Ma la dichiarazione di Trump su Gerusalemme del mese scorso ha cambiato le carte in tavola.
L’amministrazione Trump non ha sostenuto la soluzione dell’unico stato, e sta lavorando a un suo progetto di pace, insistendo che ogni accordo definitivo, confini inclusi, deve essere negoziato dalle due parti. Ma la decisione presa dal presidente il mese scorso di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, in spregio alla ultradecennale politica statunitense ed al consenso internazionale e senza alcuna menzione delle rivendicazioni palestinesi sulla città, è stata letta come un deliberato spostamento dell’ago della bilancia dalla parte di Israele.
Saeb Erekat, veterano negoziatore palestinese, ha detto che la dichiarazione di Trump ha suonato la campana a morto per la soluzione dei due stati e che i Palestinesi dovrebbero spostare la loro attenzione su “uno stato con uguali diritti”. Da allora la sua posizione ha guadagnato popolarità tra i leader palestinesi.
In questa prospettiva, il movimento palestinese dovrebbe passare ad una battaglia per l’eguaglianza dei diritti civili, incluse le libertà di movimento, assemblea, manifestazione del pensiero, e il diritto di voto alle elezioni politiche. “Il che significa che un Palestinese potrebbe essere primo ministro”, ha detto Barghouti.
Per i suoi sostenitori palestinesi, l’idea dell’unico stato è un’amara consolazione dopo decenni di battaglie per uno stato sulla base degli accordi di pace di Oslo, che molti ritengono abbiano portato a poco se non a dare copertura, e tempo, all’espansione degli insediamenti israeliani.
“Se sostieni la soluzione dei due stati, sostieni Netanyahu”, ha dichiarato As’as Ghanem, docente di scienze politiche all’Università di Haifa che da tempo lavora con un gruppo di Israeliani e Palestinesi a una strategia basata su un unico stato. “È ora che noi Palestinesi proponiamo un’alternativa”.
Vari sforzi sono in corso. Un gruppo che esiste da una decina d’anni, chiamato Movimento Popolare per uno Stato Unico e Democratico, guidato da Radi Jarai, un ex-leader di Fatah che ha passato 12 anni in un carcere israeliano dopo aver partecipato alla guida dell’Intifada del 1987, sta pianificando una campagna sui media per spiegare l’idea agli abitanti della Cisgiordania.
“Pensano che ciò significhi che i Palestinesi avranno la carta d’identità israeliana e vivranno sotto un regime di apartheid”, ha detto. “Ma la nostra idea è di avere uno stato democratico, con nessun privilegio per gli Ebrei o per alcun altro gruppo etnico o religioso”.
Altri stanno parlando di delineare un prototipo di costituzione per un unico stato o di fondare un partito politico che lo sostenga in Israele e nella Cisgiordania.
“Almeno il 30% dei Palestinesi sostiene l’idea dell’unico stato sebbene nessuno ne parli”, ha detto Hamada Jaber, organizzatore di un gruppo chiamato Fondazione per un Unico Stato, “se ci sarà almeno un partito politico da ciascuna parte che ne parla e ne adotta la strategia, il sostegno crescerà”.
L’idea ha un sostegno più ampio tra i giovani, ha detto il sondaggista palestinese Khalid Shikaki, in particolare tra gli studenti e i professionisti che reclamano un mutamento di strategia fin dalla primavera araba del 2011.
“Ho 24 anni”, afferma Mariam Barghouti, scrittrice e attivista coinvolta negli sforzi verso un unico stato, e parente alla lontana di [Mustafa] Barghouti, “Tutto ciò che ho conosciuto è Oslo e il processo di negoziazione per i due stati. Sono stata testimone di come le cose siano solo peggiorate per me e la mia generazione”.
Per la destra israeliana, abbandonare l’obiettivo dei due stati è una cosa buona, una minaccia evitata. Molti infatti guardano a ciò che è successo a Gaza, da cui Israele si è unilateralmente ritirata nel 2005, e immaginano una Cisgiordania controllata allo stesso modo dai militanti di Hamas, con la conseguenza di razzi che piovono sull’aeroporto Ben-Gurion da est, anziché sulle fattorie e sulle scuole da sud.
Ma la destra israeliana non ha pienamente chiarito come il suo unico stato supererebbe il dilemma demografico. Assorbire i quasi tre milioni di Palestinesi della Cisgiordania significherebbe la fine dello stato ebraico, oppure distruggerebbe la democrazia israeliana se ai Palestinesi venissero negati uguali diritti. Anche una risicata maggioranza ebraica non sarebbe politicamente in grado di negare ai Palestinesi piena cittadinanza e pari diritti in un singolo stato sovrano.
“Non darei mai la cittadinanza alle masse della popolazione araba in Giudea e Samaria”, ha dichiarato Yoam Kisch, parlamentare del partito di Netanyahu che sta portando avanti un piano per l’autonomia, usando i nomi biblici per la Cisgiordania.
In futuro, ha detto, ciò che rimane delle aree palestinesi potrebbe diventare parte della Giordania o dell’Egitto, o diventare una qualche forma di “stato minore” con sovranità limitata. Nel frattempo, Kisch ha dichiarato di voler dare la piena cittadinanza israeliana soltanto a circa 30.000 Palestinesi della Cisgiordania che vivono in aree su cui vuole che Israele affermi la sua sovranità.
Una mossa del genere sarebbe inaccettabile per i Palestinesi.
Ciò che queste due visioni completamente diverse dello stato unico condividono è la convinzione che la soluzione dei due stati sia irraggiungibile.
Certamente l’OLP non sta completamente rinunciando all’idea dei due stati. Sta ancora percorrendo altre vie diplomatiche. Venerdì, per esempio, Erekat ha fatto appello agli stati membri della Lega Araba perché diano corso agli impegni presi in passato di interrompere ogni legame con i paesi che riconoscono Gerusalemme come capitale di Israele.
“Sappiamo che dobbiamo stare attenti che il mondo non ci fraintenda”, ha dichiarato Barghouti in un’intervista. “Se la soluzione dei due stati muore, sarà responsabilità di Israele, non dei Palestinesi. Ma se gli Israeliani la uccidono, che è ciò che stanno facendo ora, purtroppo con l’aiuto dell’amministrazione Trump, allora l’unica opzione per noi sarà quella di combattere il regime di apartheid e farlo crollare, il che significa un unico stato con uguali diritti per tutti”.
Sia i Palestinesi che gli Israeliani sono scettici riguardo alla possibilità che leader palestinesi come Erekat e Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, possano mai veramente abbandonare il processo di Oslo, al quale hanno consacrato le loro carriere e al quale devono il loro sostentamento.
Se e quando in Israele verrà eletto un governo più liberale, potrebbe anche resuscitare il processo di pace basato sui due stati.
Ma i costi e la difficoltà politica di ritirare gli Israeliani dalla Cisgiordania crescono con ogni famiglia di coloni che vi si trasferisce.
Daniel C. Kurtzer, un professore di Princeton che è stato ambasciatore in Egitto con l’amministrazione Clinton e in Israele sotto George W. Bush, ha fatto notare che circa 120.000 lavoratori palestinesi fanno i pendolari in Israele, i servizi di sicurezza palestinesi forniscono aiuto ad Israele nella protezione della sua popolazione e l’Autorità Palestinese solleva Israele dall’obbligo che grava sulla potenza occupante di prendersi cura dei rifugiati.
“Tutti noi diciamo ‘non accadrà mai, torneranno in sé’”, ha detto Kurtzer. “Ma quanto si può andare avanti con lo status quo? Ci sveglieremo un giorno e sarà di fatto un solo stato. È come in ‘Thelma e Louise’. Corri lungo l’autostrada e la vita è fantastica. Ma c’è un precipizio”.
Rami Nazzal ha contribuito con notizie da Ramallah, Cisgiordania, e Myra Noveck ha fornito ricerche da Gerusalemme.
https://www.nytimes.com/2018/01/05/world/middleeast/israel-palestinians-state.html
Traduzione di Dora Rizzardo